Gli ultimi dati sono del novembre 2023: “nel nostro Paese circa 2,5 milioni di persone soffre di attacchi di panico, ma sono dei dati sottostimati, perché, non raramente, chi ne ha sofferto o ne soffre lo fa in silenzio”, ha spiegato Rosario Sorrentino, neurologo e autore del libro ‘Panico 2.0. Un Disturbo Che Si Può Vincere’ (Compagnia Editoriale Aliberti).
“Per batterlo, è importante fare le scelte giuste, affidandosi a medici esperti in questo campo. Perché non si può improvvisare, rischiando così di rimanere ostaggio della propria paura, rinunciando a vivere”, chiarisce il neurologo.
Questo quadro coincide con quanto sperimentato da Davide T., 40enne di Roma che ci ha scritto per raccontarci la sua esperienza: “Due anni fa, una mattina che sembrava apparentemente come un’altra stavo guidando per andare al lavoro quando da un momento all’altro il cuore ha iniziato a battere all’impazzata. Mi è mancata l’aria, ho rischiato di uscire di strada”.
Allora Davide non lo sapeva, ma si è trattato di un attacco di panico, come conferma la dott.ssa Anna Merolle, psicologa e psicoterapeuta, cui abbiamo consegnato la storia. “Si tratta di episodi improvvisi di intensa paura o disagio che possono durare alcuni minuti. Durante un attacco, si possono sperimentare sintomi fisici e psicologici intensi come palpitazioni, respiro corto, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, vertigini, nausea, paura di perdere il controllo o impazzire, confusione mentale e percezione di irrealtà rispetto ciò che ci circonda. E possono verificarsi in modo imprevedibile, oltre che causare una grande ansia anticipatoria riguardo alla possibilità di un futuro attacco”.
Sono insomma il segnale più evidente di un malessere psichico che può inficiare profondamente la vita, proprio come è successo a Davide, che all’epoca lavorava come manager in una multinazionale. “Mi sono spaventato, avevo la sensazione di aver perso il controllo di me stesso. La testa era vuota, ero convinto di essere sul punto di morire. Sono riuscito a parcheggiare e l’unico desiderio che avevo era tornare a casa. Chiamato un taxi, solo dopo aver varcato la soglia di casa ho iniziato a sentirmi meglio. Ho pensato fosse solo un momento di forte stress – effettivamente era un periodo di lavoro intenso – così una volta passato tutto non ho più dato peso all’accaduto”. Un errore.
“Tre settimane dopo mi trovavo su un volo per Londra ed ecco che arriva un secondo attacco di panico. Non sapevo che fare, perché non potevo scendere. Mi sono ritrovato a sudare freddo e a tremare, avevo le vertigini e mi sentivo totalmente dissociato dalla realtà. Con il cuore che andava a mille e il fiato che diventava sempre più corto ho provato a calmarmi, ma in testa avevo solo un pensiero: muoio, muoio, ora muoio. La fortuna è stata il timing: eravamo a 10 minuti dall’atterraggio e anche se mi sono sembrati eterni sono riuscito a dominarmi. Stessi sintomi, stessa sensazione di confusione di quando ero alla guida: non era più una cosa che potevo ignorare. Tanto più che la diagnosi mi era piuttosto chiara: ho immaginato si trattasse di attacchi di panico, benché mai sperimentati prima, perché anche mia madre ne ha sofferto, in passato. Ho visto quanto le hanno invalidato la vita. Ti travolgono come un uragano e ti lasciano vivere col terrore che possa accadere di nuovo, quando meno te lo aspetti”.
Il senso di vergogna, il fallimento dell’analisi e il ricorso agli psicofarmaci
“Non mi davo pace: perché a me? Ritenevo di essere realizzato professionalmente, avevo tanti amici e una vita sociale ricca, sono una persona indipendente ed estroversa: perché a me? Mi ero sempre sentito forte e capace di affrontare ogni cosa, ma gli attacchi di panico – che stavano diventando sempre più frequenti – mi avevano reso fragile, insicuro e ostaggio di una sensazione di costante pericolo. Me ne vergognavo tantissimo, al punto da non poterne parlare con nessuno. Poi, una sera, vengo investito da tutto questo proprio davanti a un mio caro amico: capisce subito la situazione e cerca di aiutarmi. Quando torno in me, mi affronta: “Davide il corpo parla. Non puoi far finta di niente! È bene che tu capisca cosa ti sta dicendo”. Mi mette in tasca un numero, quello della sua psicologa. Vorrei dirvi che è finita così, ma non è vero: mi presento a un primo incontro, poi ad altri, ma non mi sento mai a mio agio. Faccio fatica a parlare di me, la dottoressa dice che ‘non mi voglio guardare dentro’ e io tiro su un muro tra noi. La soluzione sta nel prendere psicofarmaci, convinto di potermi curare. A tratti sto meglio, ma gli attacchi di panico non scompaiono”.
La svolta ha un nome: Mindfulness
“Gli attacchi di panico continuano e acquistano perfino un senso: mi rendo conto che non ne sono uscito con l’aiuto di una psicologa e che quindi forse non ne uscirò mai. La vita per fortuna mi fa incontrare Paola, un’amica di una mia amica. Per caso, mi parla della mindfulness, così le racconto tutto sperando che quella disciplina possa fare al caso mio. ‘Non sono un’esperta, prova’, mi dice consigliandomi l’indirizzo del centro in cui la pratica.
Di cosa si tratti davvero lo scopro una volta lì: è una forma di meditazione per stare ancorato nel momento presente, liberandoti dal giudizio su te stesso. ‘Ti aiuta ad avere consapevolezza di chi sei e che cosa vuoi’. A dir la verità non ci credo molto, ma inizio a imparare questa tecnica di respirazione lenta e controllata, che aiuta a rilassarsi. Pian piano inizio a sentirmi meglio… la porta serrata dentro di me inizia ad aprirsi. Prendo coscienza di un fatto: non sono veramente felice, anche se apparentemente non mi manca nulla, ho problemi di autostima, sono sempre il giudice più impietoso verso me stesso. Nei mesi a seguire attraverso fasi difficili: sento di non stare più bene nei miei panni, penso di voler trasformare la mia vita, comincio ad acquistare il coraggio per farlo, programmo il cambiamento. Gli attacchi diventano meno frequenti, fino a quasi scomparire del tutto, e io ritrovo il coraggio di essere me stesso. Mi sono licenziato e ho deciso di usare i miei rispararmi per prendermi un anno sabatico”.
“L’ansia è il disturbo predominante dell’era contemporanea, perché si è costantemente sottoposti a sfide imposte dalla società e dalle aspettative circostanti. Accoglierle e cavalcarle a volte dipende più da un dettato sociale che da una ricerca interiore. Questo può avere un effetto negativo su se stessi e sul proprio benessere, poiché spesso il vero sentire è sepolto sotto le aspettative affettive e sociali. Davide, manager in una multinazionale, viaggia frequentemente per l’Italia. Nella sua storia, ci racconta del successo professionale che ha raggiunto, accompagnato da una vita sociale ricca di contatti e relazioni. Può contare su di sé, essendo estroverso e autonomo, ciò che favorisce la sua ascesa nella gerarchia aziendale. Inoltre, grazie alla sua stabilità finanziaria, può godere di una tranquillità non indifferente in questi tempi, che gli permette di condurre una vita che lui considera spensierata. In questo quadro così eccellente di vita, Davide si chiede perché abbia iniziato ad avere attacchi di panico, visto che solitamente vengono collegati a situazioni reattive come la perdita del lavoro o un lutto. Questo pensiero è comune a molte persone che tendono a associare il loro disagio a un evento specifico che possa spiegare la loro condizione psicologica. Tuttavia, come scopriremo guardando alla storia di Davide, il significato sottostante al suo malessere psichico potrebbe non essere così immediato, poiché spesso le radici del problema risiedono in esperienze più remote.
Per capire come gestire gli attacchi di panico, serve guardarsi dentro e capire le proprie emozioni. “Nel caso di Davide, gli attacchi di panico sono sopraggiunti mentre era in macchina e in aereo, dove l’abitacolo in movimento o in volo gli impediva di uscire. Questa situazione può causare una maggiore tendenza a evitare luoghi chiusi o troppo affollati, in cui le possibilità di fuga sembrano più difficili. Si perde fiducia nel proprio corpo e nella sua funzionalità, il che porta a un controllo ossessivo del respiro e del battito cardiaco per assicurarsi che siano regolari. Allo stesso modo, ci si tocca le gambe per assicurarsi che siano solide, eccetera. Questo avviene perché l’insicurezza derivante dagli attacchi di panico crea ansia anticipatoria che mette in discussione ciò che prima avveniva in modo automatico.
Per un’indagine sull’ansia, è opportuno esaminare l’emozione che influisce maggiormente sulla vita quotidiana, partendo dal presupposto teorico che dietro l’ansia si nasconde un’emozione bloccata e una carica energetica inespressa. L’ansia potrebbe essere considerata come una sorta di “copertura” di un’emozione ancora più profonda e dolorosa. Per vincere l’attacco di panico, è fondamentale affrontare e liberare l’emozione nascosta dietro il disagio, silenziando così l’emozione “racket”. Spesso le persone insicure, come Davide, cercano nella ricerca di obiettivi socialmente accettati e al di fuori di sé stessi un appiglio su cui basare la propria insicurezza. Questo processo è essenziale per superare l’attacco di panico.
Davide descrive anche la sensazione familiare degli attacchi di panico, che lo fanno tornare indietro a sua madre che ne soffriva da tempo. La paura – non vuole non soffrire come lei – ha influenzato la sua ricerca di aiuto e nella scelta del supporto più adatto a lui”.
La strategia vincente di Davide. “Esistono diverse opzioni di supporto per gestire l’ansia, che possono includere tecniche di respirazione, la pratica della mindfulness, la psicoterapia e l’utilizzo di farmaci. Anche una combinazione di queste strategie può essere utile per mantenere attiva la sfera interiore e sensoriale, entrambe necessarie per sviluppare un ascolto interiore e prendere coscienza di sé dal punto di vista psicologico. Davide ci racconta la sua esperienza con la mindfulness, considerata oggi una tecnica di eccellenza con diversi effetti positivi sull’ansia. Attraverso la consapevolezza del respiro e la capacità di riconoscere i segnali che il corpo invia, la mindfulness aiuta a costruire resilienza e autoefficacia. Inoltre, attiva la risposta calmante del sistema nervoso parasimpatico, favorendo una sensazione di calma e benessere. La scelta di un anno sabbatico è per Davide il frutto resiliente della sua indagine sull’ansia”.