Ha suscitato qualche sconcerto la notizia che, vincendo l’iniziale esitazione, la segretaria del Pd Elly Schlein si sia infine risolta a firmare il referendum contro il Jobs Act, promosso dalla Cgil. Prima di lei avevano già firmato i dioscuri Bonelli e Fratoianni, leader dell’Alleanza Verdi-Sinistra, e prima ancora l’astuto Giuseppe Conte, che con questa mossa ha segnato un punto nella corsa alla guida del centro-sinistra. Non si sa ancora quanti, fra gli innumerevoli esponenti del Pd che a suo tempo (2014-2016) avevano entusiasticamente appoggiato il Jobs Act e i suoi decreti legislativi, metteranno a loro volta la firma sul referendum di Landini.
La scelta di Elly Schlein è perfettamente comprensibile, viste le posizioni su cui si è candidata alla segreteria del Pd. E non mi stupirei che, in un impeto di coerenza, domani promuovesse una qualche iniziativa contro l’altra bestia nera del nuovo Pd, ovvero la politica migratoria dell’era Renzi-Minniti. Come se, dopo gli anni di “Rifondazione comunista”, reazione nostalgica alla dissoluzione del PCI, agli eredi di quel partito toccasse ora promuovere una sorta di “Rifondazione democratica”, nel segno di una sinistra più “vera” e della memoria di Enrico Berlinguer.
Difficile non vedere, tuttavia, le conseguenze che questa deriva politica inevitabilmente implacabilmente porta con sé. La prima è una sorta di rimodulazione radicale della geometria interna del centro sinistra: mai come oggi sono state grandi le distanze fra il Pd e il trio riformista Azione-Italia Viva-Più Europa, e mai come oggi sono state piccole, per non dire inesistenti, le distanze programmatiche fra Pd, Cinque Stelle, Verdi e Sinistra Italiana. Mai come oggi, soprattutto, è stata evidente la sudditanza del Pd al Movimento Cinque Stelle e a Giuseppe Conte, che non perde occasione per mettere in imbarazzo la leader del Pd, oggi sulla politica economico-sociale, con la tempestiva firma del referendum contro il Jobs Act, ieri sulla questione morale, lucrando sugli scandali che hanno coinvolto il Pd a Bari e Torino.
C’è anche un’altra conseguenza, però. La scelta di rinnegare il passato del Pd, rende ancora più difficile un’alleanza strategica con la sinistra riformista, che ora – grazie all’involuzione massimalista e giustizialista del Pd – non include solo i partiti di Renzi e Calenda, ma anche quello di Emma Bonino. L’ultima super-media dei sondaggi rivela che Pd e alleati sono fermi al 40%, mentre i tre partitini riformisti sono vicini al 9%. Difficile pensare che, alle prossime elezioni, quel 40% del “campo giusto” possa miracolosamente tramutarsi in un 50%, necessario per competere vittoriosamente con il centro-destra.
Si potrebbe obiettare che la forza del fronte progressista (e anti-riformista) sta nella correttezza della sua analisi sociale, e che con il tempo l’elettorato capirà. In effetti ci sono parecchie cose che non vanno bene in Italia, dalla sanità alla scuola, dai bassi salari alla precarietà di tanti contratti, dal ristagno della produttività all’immane peso del debito pubblico, dai morti sul lavoro ai suicidi in carcere. Il problema, però, è che molto di quel che non va ha radici nel passato, e in questo passato ci sono tutti:
governi politici e governi tecnici, governi di destra e governi di sinistra, governi con i Cinque Stelle e governi senza i Cinque Stelle.
Il debito pubblico è una voragine con cui nessun governo ha mai avuto la forza di fare davvero i conti. I bassi salari sono la conseguenza della stagnazione trentennale della produttività, frutto di decenni di riforme mancate.
La distruzione della scuola è un’impresa comune, cui hanno contribuito tutti, governanti e cittadini. L’indebolimento del sistema sanitario nazionale è iniziato una quindicina di anni fa, ben prima del Covid. Quanto allo stato penoso della finanza pubblica, che rende difficilissimo fronteggiare le innumerevoli emergenze del paese, come non vedere che è anche il risultato del super-bonus, una misura voluta dagli stessi partiti che oggi denunciano la drammaticità di quelle emergenze?
In queste condizioni, una politica economico-sociale credibile non può cavarsela ripartendo le colpe fra il presunto liberismo dei governi riformisti passati e il presunto fascismo del governo in carica. È la forza del passato, con i suoi errori e le sue avventatezze, il vero macigno che pesa su chiunque si proponga di cambiare l’Italia. Chi è al governo lo sa, perché lo sperimenta a proprie spese. Chi al governo spera di arrivarci con le prossime elezioni politiche, non può far finta di non saperlo, se vuole portare dalla propria parte la maggioranza dei cittadini.
[articolo uscito sul Messaggero il 10 maggio 2024]