Estratto dell’articolo Alberto Brambilla per “L’Economia – Corriere della Sera”
Prosegue anche con questo governo e con questa opposizione il folle sogno tutto italiano: pensare di mandare avanti il Paese con il 60% circa degli italiani a quasi totale carico del restante 40% ed in particolare di quel 14% di cittadini che dichiara redditi da 35 mila euro in su incentrato sul pericoloso binomio meno dichiari e più avrai dallo Stato.
E quindi meno tasse, meno contributi e più agevolazioni anche con distribuzione di denaro pubblico attraverso assegno unico per il nucleo familiare, sussidi, prestazioni assistenziali, bonus e Isee (il motore del sommerso assieme al reddito di cittadinanza prima, all’assegno di inclusione ora e alla generosa Naspi). Insomma, una grande redistribuzione di una torta sempre più piccola.
Spesso queste iniziative sono mosse dalla conquista del consenso politico a tutti i costi, anche a scapito della nostra sostenibilità finanziaria […]. […] la politica di questi ultimi 15 anni non riesce nemmeno a verificare se le enormi somme ridistribuite dai pochi che le tasse le pagano ai tanti che vivono in groppa ai pochi, producano effetti positivi sull’economia oppure, […] siano un metadone sociale che blocca la crescita dell’occupazione […] e del Pil; nel 2021 per le sole funzioni sanità, scuola e assistenza sociale la redistribuzione delle entrate fiscali (e del debito) ammonta a circa 194 miliardi (per capirci l’Irpef totale netta versata dai contribuenti ammonta a 175 miliardi), quindi ridistribuiamo più del gettito Irpef e Irap.
Questa stagione iniziata con gli 80 euro di Renzi, con i vari bonus, tra cui i 500 euro giovani è proseguita poi con Conte, Salvini con quota 100, reddito di cittadinanza, superbonus e così via. Risultato: a fine 2017 il debito pubblico italiano era 2.256,1 miliardi di euro (2.219,5 nel 2016, i 2.173 del 2015 e 2.137 di fine 2014); ogni anno si facevano in media tra i 40 e 49 miliardi e ci sembrava tanto, troppo.
Ma con i governi da Conte in poi, ci siamo superati, arrivando ai 2.863 miliardi di febbraio 2024. Dopo il calo a 28 miliardi nel 2019, dal 2020 a fine 2023, anche per i provvedimenti dovuti al Covid, ne abbiamo fatti oltre 160 miliardi l’anno (649 in totale per la precisione) e ne faremo altri 100 quest’anno; il rapporto debito/Pil che negli anni 2004-2008 veleggiava tra il 103 e il 106% è schizzato al 137% ed il deficit al 7,4%.
[…] più spendiamo, più ridistribuiamo e più poveri fabbrichiamo. Forse è per questo che abbiamo i tassi di occupazione più bassi dell’Ue (ci battono pure Cipro e Grecia), il livello di evasione ed elusione fiscale e contributiva di gran lunga più elevato nella Ue e meno del 14% degli italiani che dichiarano più di 35 mila euro lordi l’anno.
In sintesi, il 44% circa degli italiani paga il 92,62% di tutta l’Irpef e il 100% delle altre imposte dirette e gran parte delle indirette (di questi il 15,27% ne paga oltre il 63,39%, dati sui redditi 2022 appena elaborati) mentre il restante 53% ne paga solo il 6,31%. Per sostenere la sanità al 60% degli italiani che grazie ai provvedimenti dei governi di questi ultimi 15 anni pagano poco o nulle tasse, occorrono circa una sessantina di miliardi.
Ma mica si fermano qui: le retribuzioni non crescono, nessun problema: sconto fiscale totale e decontribuzione fino a 25 mila euro di reddito annuo. Gli italiani non fanno figli, ecco l’assegno unico e universale per i figli a carico che però si riduce all’aumentare dei redditi. E siccome il 47% dei pensionati in 67 anni di vita non ha pagato tasse e contributi ecco che per premiarli gli azzeriamo le tasse, aumentiamo le pensioni minime, gli diamo la 14° mensilità, le integrazioni e ora si pensa pure a un bonus anziani che così prenderanno una pensione più alta di quelli che tasse e contributi li hanno pagati per tutta la vita mentre il governo del merito penalizza le pensioni vere che negli ultimi tre anni hanno perso oltre il 10% di potere d’acquisto. Ma si può andare avanti così?