Mi sono imbattuto per la prima volta nelle teorie dell’economista italiana Mariana Mazzucato qualche anno fa durante un dibattito con un anticapitalista, il quale sosteneva che il merito dell’invenzione dell’iPhone non era di Steve Jobs, ma del governo americano, e che lo stesso valeva per tutte le grandi invenzioni. Poiché conosco bene la storia della creazione dell’iPhone, mi sono subito reso conto che quell’anticapitalista non aveva capito il ruolo dell’imprenditore.
Gli imprenditori non sono necessariamente inventori, né tipicamente ricercatori scientifici. No, sono più simili ad artisti, che utilizzano la loro creatività per prendere ciò che già esiste e trasformarlo in qualcosa di completamente nuovo, cioè in prodotti nuovi e innovativi che forniscono valore ai clienti. Sarebbe assurdo accusare Pablo Picasso di aver semplicemente ricombinato i colori esistenti, o confutare Karl Marx sostenendo che non ha fatto altro che rimescolare le teorie di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Adam Smith e David Ricardo.
Tutti gli uomini d’affari di successo, che si tratti di Sam Walton di Wal-Mart o di Bill Gates di Microsoft, non hanno dato origine alle loro idee rivoluzionarie, ma le hanno adottate da altri. E la maggior parte degli inventori, sia di prodotti come la Coca-Cola che di tecnologie come il sistema operativo poi noto come Ms-Dos, non sono diventati ricchi grazie alle loro creazioni. La vera chiave del successo finanziario sta nella capacità di creare un potente modello di business attorno a queste idee e di soddisfare efficacemente le richieste dei consumatori sul mercato.
Un esempio noto è la ricetta della Coca-Cola, che fu prima inventata dal farmacista John Stith Pemberton. Egli possedeva un laboratorio ad Atlanta dove produceva medicine. Tra le sue creazioni c’era un tonico infuso con foglie di coca e noci di cola, pensato per alleviare vari disturbi come mal di testa, stanchezza, impotenza e debolezza. Lanciato nel 1886, il Tonicum di Pemberton, in seguito noto semplicemente come Cola, era un intruglio sciropposo che si rivelò presto una bevanda deliziosa se mescolato all’acqua. Pemberton non riconobbe l’enorme potenziale commerciale della sua invenzione e vendette la società e la formula segreta della Coca-Cola a diverse persone, tra cui Asa Griggs Candler. Nel 1892, Candler, insieme al fratello e ad altri due investitori, fondò la Coca-Cola Company. Tutto sommato, a Candler costò appena cinquecento dollari. C’è una grande differenza tra essere un inventore ed essere un imprenditore.
Mariana Mazzucato ha molti fan perché fraintende e minimizza il ruolo dell’imprenditore e ingigantisce il ruolo dello Stato. Questo l’ha posizionata in prima linea nel dibattito attuale. Barack Obama era un suo ammiratore, così come il ministro tedesco dell’Economia Robert Habeck, che attualmente sta portando l’economia tedesca al collasso e che nella sua vita precedente eccelleva soprattutto come autore di libri per bambini.
L’economista americana Deirdre Nansen McCloskey e il politologo italiano Alberto Mingardi offrono un’analisi critica del lavoro di Mazzucato nel loro libro “The Myth of the Entrepreneurial State”. La loro principale obiezione è la seguente: Mazzucato evidenzia solo singoli casi in cui lo Stato ha promosso con successo l’innovazione, mentre ignora i casi – più numerosi – in cui la cosiddetta politica industriale ha fallito. Naturalmente, chiunque può citare esempi di grandi innovazioni promosse dallo Stato. «Il problema dell’uso del cherry picking – il quale evidenzia sole le prove a favore, ignorando tutte le altre –, però, è che, visto il gigantesco aumento della spesa pubblica dal 1900, sarebbe davvero strano se nessuno di questi dollari non finanziasse qualcosa di rilevante dal punto di vista tecnologico».
A parte il fatto che citare alcuni esempi in cui lo Stato ha svolto un ruolo positivo non dimostra la tesi di fondo, Mazzucato presenta anche una serie di invenzioni, tra cui Internet, come il risultato diretto dell’azione dello Stato, cosa che non è avvenuta – come gli autori dimostrano in uno specifico capitolo del loro libro. Se i politici e i funzionari pubblici possedessero il livello di ingegno che Mazzucato suggerisce, sarebbero già da tempo incredibilmente ricchi, perché avrebbero realizzato tutte le invenzioni e le innovazioni più innovative nel settore privato e ne avrebbero raccolto i frutti finanziari. Come disse una volta Ronald Reagan: «Le menti migliori non sono nel governo. Se ci fossero, le imprese le ruberebbero».
La Mazzucato e i suoi numerosi sostenitori hanno una visione idealizzata dei politici, mentre criticano gli imprenditori privati per aver dato priorità ai guadagni a breve termine. Credono che i politici agiscano sempre e solo per promuovere gli interessi a lungo termine dei loro Paesi. E che i politici siano onniscienti e possiedano un livello di intuizione superiore a quello degli imprenditori quando si tratta di determinare quali innovazioni hanno un futuro e quali no. In realtà, sappiamo tutti che i politici si preoccupano soprattutto di come si presenteranno alle prossime elezioni e sono fortemente influenzati nelle loro decisioni da innumerevoli lobbisti.
L’enorme numero di progetti promossi dalla politica industriale che poi sono falliti miseramente è materia da leggenda. E l’illusione che politici e funzionari pubblici siano più intelligenti di milioni di imprenditori e consumatori è ridicola. Naturalmente, non sono solo i progetti governativi a fallire: anche la maggior parte dei nuovi prodotti lanciati dalle imprese private ha un destino simile. «Ma almeno è volontario e correggibile con il fallimento, che lo Stato può sempre evitare con ulteriori tasse forzate e il corrispondente sussidio ai suoi buoni amici». Quando gli imprenditori falliscono, vengono puniti dal mercato, nel peggiore dei casi falliscono. Quando i politici falliscono con una misura di politica industriale, gettano ancora più denaro dei contribuenti sul progetto per nascondere i loro errori.