Bari. Ha preso il caffé al Bar Miramare, ha guardato la statua di bronzo del pescatore che con il tritone prova a dominare la piovra e si è incamminato da Torre a Mare verso Bruxelles, andando a votare, nella scuola elementare Montalcini, con i pantaloncini corti e le sneaker: Antonio Decaro, mister 500 mila voti, è l’homo novus del Pd, il neo leader nazionale dell’area riformista (non ha votato Elly nelle famose primarie), il centravanti – una specie di Igor Protti capocannoniere a sorpresa della serie A – in grado di regalare con la sua fantasmagorica performance il primato nel Sud al partito del Nazareno, relegando dietro i meloniani e prosciugando i pozzi pentastellati, ora depurati con il suo realismo dalla retorica contiana populista.
L’ingegnere dell’Anas, passato nel 2004 da una scrivania che guardava sul Parco Due Giugno, all’incarico di assessore alla mobilità per intuizione indovinata di Michele Emiliano, taglia il traguardo del suo ventennio in politica con un bottino di preferenze che lo pone tra i più votati della storia d’Italia, con un Pd che – a differenza del 2014 con Matteo Renzi – va bene ma non si avvicina certo al 40 per cento del leader toscano. Il nuovo condottiero della sinistra riformista, supportato anche dai dalemiani meridionali, è erede del pragmatismo socialista che gli ha trasmesso papà Giovanni, assessore Psi della Prima Repubblica al Comune di Bari: Decaro è un leader anti-eroe, perfetto per il videoclip di “Una lacrima sul viso” di Bobby Solo: piange per le strade deserte per il covid come nei comizi con cui si congeda dopo il doppio mandato a Palazzo di città, ma è soprattutto un campione della politica social, instradato da Giovanni Sasso, neofilosofo del nostro tempo, in grado di inventarsi trovate pop per sbancare su Facebook o Instagram, come nel caso del virale spot per le Europee. In Italia l’hanno visto tutti (soprattutto gli under 40): è un campionario perfetto di sentimento nazionalpopolare, con un mix di paternalismo (c’e’ la figlioletta che lo prende in giro per le lingue), enogastronomia con una spalmata di nduja e i dialetti che abbattono la distanza tra popolo e politici. Ovviamente nessun riferimento ideologico divisivo, solo un menù empatico che è valso 500mila preferenze, più del doppio di quelle prese da Gianni Pittella nel Pd dell’era renziana.
Una leadership postideologica supera il confine dell’Ofanto e costringerà il Pd a farci i conti: apprezzato dal Quirinale, idolo di una immensa falange di fasce tricolori municipali, ha la capacità di allargare il consenso della sinistra di governo (simpatizzavano per lui pure i marò), con la competenza e l’orgoglio dell’amministratore che recita a menadito tutte le norme per efficientare gli appalti comunali del Pnrr.
È stato anche più forte delle scivolose inchieste giudiziarie cadute sul centrosinistra pugliese e corazzato rispetto all’aneddoto scivoloso di Emiliano che ha raccontato di averlo portato dalla sorella del boss a Bari vecchia per “raccomandarlo”. Il fatterello (ritrattato tante volte dallo Sceicco) è finito quasi nel dimenticatoio, mentre il capoluogo regionale pugliese gli ha riservato il 49 per cento dei voti, primato costruito con una innata capacità seduttiva, facendo innamorare i baresi anche della costruzione di una rotatoria o trovando una poesia pure in un grigio parcheggio di scambio.
Ha preso più voti dell’amico Stefano Bonaccini (che ha sostenuto al congresso), più di due volte quelli di Elly (sommando le preferenze nel Centro e nelle Isole). La segretaria prima del comizio barese lo ha abbracciato stringendogli il viso, consapevole che la sua segreteria avrebbe avuto un vantaggio indiscusso dal successo plurale dei suoi candidati di punta e del suo bomber barese. Che ha ricambiato l’approccio costruttivo dando i voti necessari dalla Puglia per l’elezione di Lucia Annunziata.
Decaro va a Bruxelles, ma si dice pronto a tornare in Puglia per prendere il posto alla Regione Puglia che lascerà Michele Emiliano (dopo due mandati). Nessuno può escludere che possa farsi trovare pronto per una contesa su Palazzo Chigi. Ora ha il “phisique du rôle” per essere l’anti-Meloni, non certo un leader di scorta. Dovrà però, come il Poseidone di Torre a Mare, tenere sempre a portata di mano il tridente per domare i tentacoli dem, partito pronto a divorare in fretta i propri tribuni più ambiziosi.
Antonio Polito
(…) C’è poi un’altra turbolenza sociale e territoriale che la vittoria nelle urne mette oggi in ombra, ma che non è affatto da trascurare: l’unica Circoscrizione in cui sia arrivato primo il Pd è quella del Sud. Risultati peraltro trainati dal successo di Antonio Decaro, il sindaco uscente di Bari contro cui il centrodestra aveva aperto il fuoco pre-elettorale, convinto di aver individuato in Puglia l’anello debole del sistema di potere della sinistra meridionale. Proprio a Bari, poi, la coalizione imperniata sul Pd ha ottenuto un risultato notevole, nelle condizioni date, fino a sfiorare il successo al primo turno. Non è un mistero che l’elettorato del Sud guardi al progetto di autonomia differenziata voluto dalla Lega con sospetto e allarme, anche perché nel frattempo sono venuti meno i palliativi assistenziali che fecero la fortuna dei Cinquestelle, dal reddito di cittadinanza ai bonus. Avere le spalle scoperte al Mezzogiorno, magari guidato all’assalto dalla vis barricadiera dei cacicchi locali, non è consigliabile per chi si accinge a entrare nella stanza dei bottoni a Bruxelles.