In Francia cade l’ultimo tabù sull’argine contro Le Pen
Il leader dei gollisti Eric Ciotti apre all’accordo con il Rassemblement National di Marine Le Pen. Se confermata – molti nel suo partito, Les Républicains, sembrano decisi a dare battaglia – sarebbe una svolta storica, che metterebbe fine a una tradizione pluridecennale. Quella del barrage contro l’estrema destra da parte dei partiti costituzionali, sempre pronti a unirsi nei ballottaggi pur di tenerla fuori, regola non scritta della Quinta Repubblica ma sempre rispettata, nonostante la crescita inarrestabile degli esclusi. Anche quando, nel 2002, per la prima volta, il Front National guidato dal Jean-Marie Le Pen (padre di Marine) arrivò al ballottaggio delle presidenziali, e la sinistra fu costretta a fare campagna per il presidente uscente, e suo storico avversario: il gollista Jacques Chirac (anche perché al primo turno gli elettori di sinistra, dando per scontato un ballottaggio socialisti-gollisti, portarono oltre la soglia di sbarramento ben quattro liste trotzkiste: ah, le meraviglie del doppio turno!). In ogni caso, la scelta di Ciotti mostra tutti i rischi dello scioglimento del parlamento deciso senza preavviso da Emmanuel Macron, probabilmente allo scopo di costringere subito l’estrema destra a una complicata prova di governo in coabitazione con lui.
«Ci pensino gli italiani quando riflettono sul premierato», dice Sylvie Goulard
La estremizzazione delle forze centrali, ovvero il bipolarismo
«La decisione presa domenica sera, prima ancora dei risultati definitivi e tenendo all’oscuro persino il premier Gabriel Attal, mostra i rischi del sistema francese, con un’elezione diretta che dà tutto questo potere, anche discrezionale, a un solo leader», dice al Corriere della sera Sylvie Goulard, presidente dell’Istituto franco-tedesco di Ludwigsburg. «Da francese, ho sempre ammirato il vostro sistema, con un presidente della Repubblica sopra le parti che assicura stabilità e sguardo a lungo termine. Ci pensino gli italiani quando riflettono sul premierato». Ma dovrebbero pensarci anzitutto quei super riformisti ancora innamorati del modello semipresidenziale e del doppio turno, che invitano le opposizioni a «dialogare» sul premierato, con l’obiettivo di avvicinarlo il più possibile al loro sistema preferito. Di sicuro appare quanto meno schizofrenico l’allarme democratico lanciato da chi, in Italia, da trent’anni difende il bipolarismo di coalizione, sistema centrifugo che i nostri estremisti e le nostre Le Pen li spedisce dritti al governo da trent’anni. I sostenitori di questo modello parlano di «costituzionalizzazione delle estreme», ma la storia degli ultimi tre decenni mostra che è accaduto l’esatto contrario: una progressiva estremizzazione delle forze centrali. Una lezione che dovrebbe valere anche per tanti autorevoli giornali internazionali, da tempo impegnati ad appoggiare l’apertura di Ursula von der Leyen a Giorgia Meloni proprio in chiave anti-Le Pen. Tanto più se Meloni fosse davvero intenzionata, come scrive Tommaso Ciriaco su Repubblica, a chiedere di aspettare i risultati delle elezioni francesi del 30 giugno e 7 luglio prima di eleggere i vertici delle istituzioni europee. Altro che barrage.
Ancora una volta, all’indomani del voto, i giornali italiani esultano per il ritorno del bipolarismo. Che lo facciano Giorgia Meloni e la destra è comprensibile: dal 1993 in poi questo sistema ha proiettato a Palazzo Chigi estremisti e populisti sempre più impresentabili, che ai tempi del proporzionale non avrebbero potuto ambire nemmeno alla guida di un consiglio comunale. È invece patologico che a farlo, nelle loro interviste e nei loro editoriali, siano quegli stessi leader e commentatori di sinistra i quali, nelle pagine accanto, lanciano preoccupati allarmi per le sorti della democrazia e l’incombente deriva autoritaria. Senza mai lasciarsi nemmeno sfiorare dal sospetto che la favola parli proprio di loro.
Non infliggerò dunque al lettore di questa newsletter il riassunto dell’immancabile intervista a Romano Prodi all’indomani della vittoria, genere letterario-giornalistico ormai consolidato che i cultori possono trovare oggi sulla Stampa, e nemmeno un commento sull’esultante intervista di Elly Schlein a Repubblica, in cui la leader del Pd torna al vecchio gioco di utilizzare come punto di riferimento il peggiore sondaggio della fase precedente (14 per cento), anziché il precedente risultato elettorale (19), così da poter sostenere di avere guadagnato dieci punti in un anno, anziché cinque (che è già moltissimo, e rende quindi ancora più insensato il trucco). Suggerirei di leggere bene, invece, l’angosciante intervista a Charles Kupchan pubblicata proprio su Repubblica diverse pagine più in là.
«Per la prima volta nella vita avverto una paura esistenziale», dice l’esperto di relazioni internazionali, già consigliere della Casa Bianca con Clinton e Obama (e autore nel 2013 di un saggio, «Nessuno controlla il mondo», pubblicato in Italia dal Saggiatore, ancora utilissimo per capire il mondo di oggi). «Il voto europeo anticipa Trump, ma per ora il centro tiene. Il risultato diventerà molto più buio se lui vincerà le presidenziali a novembre. Allora la deriva verso lo smantellamento della democrazia liberale sarà inarrestabile e Giorgia Meloni cambierà posizione in pochi minuti per allinearsi».
Bastano queste quattro righe per capire che Kupchan non appartiene alla folta schiera di esperti internazionali chiamati regolarmente a commentare le faccende di casa nostra ripetendo stancamente ai giornali italiani le stesse fregnacce che hanno letto sulle loro pagine (come il mito dell’evoluzione europeista e modernizzatrice, addirittura draghiana, della destra meloniana). Al contrario, sono i giornalisti italiani che farebbero bene a leggere lui: «C’è una pericolosa somiglianza tra la demografia che negli anni Venti e Trenta sospinse fascismo e nazismo, soprattutto classe media e lavoratrice, e quella che oggi vota la destra. Ciò rende questo momento spaventoso. Hitler andò al potere legalmente e poi cambiò il sistema dall’interno. Oggi non stiamo vivendo colpi di stato militari, ma la volontà popolare porta al potere persone che poi ne abusano. Se hanno super maggioranze, controllano media e sistemi giudiziari, mettono in prigione i dissidenti, batterli alle urne diventa impossibile».
E adesso tornate pure a leggere le pensose interviste e i numerosi editoriali di padri, cugini e zii nobili del centrosinistra che da trent’anni inneggiano al bipolarismo e al maggioritario, scommettendo sulla «polarizzazione», proprio come fece Enrico Letta, affettuosamente consigliato da Prodi in tal senso, alle elezioni del 2022.