La verita’ (sempre relativa, ci mancherebbe altro) che sin dal 1992 con Mani Pulite abbiamo imparato a riconoscere e’ che la magistratura tra i tre poteri costituzionali e’ quello piu’ debordante ed e’ un pericolo per l’equilibrio sul quale e’ costruito il nostro Stato di diritto. La teoria della separazione dei poteri viene tradizionalmente associata al nome di Montesquieu, il quale, nello Spirito delle leggi, del 1748, fonda la sua teoria sull’idea che “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti”. In Italia tutto l’incessante dibattito che da Mani pulite sino ad oggi si e’ sviluppato sulla questione “giustizia” e’ assolutamente parziale perche’ incentrato solo sui pm che avendo la possibilita’ di mettere in prigione sono quelli che fanno piu’ paura a tutti. La vera grande questione, che il “partito dei giudici” (la sinistra), disconosce, concerne la giustizia civile, di cui non si parla mai se non nelle rare occasioni in cui qualche economista o imprenditore fa notare che nessuno investe in Italia appunto perche’ non funziona la giustizia civile o se funziona lo fa con i suoi incontrollabili tempi biblici.
E’ sotto gli occhi tutti, non solo di quelli degli avvocati, che in Italia i giudici hanno l’ultima parola su tutto, ovvero su qualsiasi questione di qualsiasi genere e tipo. Ed essendo ogni giudice soggetto soltanto alla Legge, pur essendovi, anzi proprio per questa ragione, tre gradi di giudizio, ogni giudice, civile o amministrativo, decide ogni caso come vuole lui, come sa, come puo’. Ci sono le leggi, c’e’ la giurisprudenza, c’e’ la Cassazione, c’e’ la corte Costituzionale, ma il giudice Pincopallo, monocratico o collegiale che sia, decide a suo giudizio senza alcun vincolo, tanto se alle parti non va bene la sentenza, fanno appello. I giudici civili, i Tar, il Consiglio di Stato, hanno un potere incommensurabile per cui qualsiasi governo, Ministro, consiglio regionale, sindaco, politico, possono decidere qualsiasi cosa ma poi, a valle, l’ultima decisione (parola, parere) spetta ad un giudice. Fatta la norma, se essa possa funzionare e in che modo, lo decide alla fine un giudice attraverso la sua personale interpretazione.
Ogni avvocato, apprestandosi a cominciare una causa civile per il suo cliente, allarga le braccia e mette le mani avanti: abbiamo solidi argomenti, c’e’ la giurisprudenza a nostro favore, c’e’ una sentenza chiara della Corte costituzionale, ma bisogna vedere se il nostro giudice aderira’ alla nostra tesi oppure la respingera’. Mentre durante le feste del Carnevale con la sua Canzona di Bacco nel 1490 Lorenzo il Magnifico faceva cantare “di doman non c’e’ certezza”, oggi nel terzo secolo in Italia e non solo a Firenze, possiamo ben dire “del giudice civile non c’e’ certezza”.
La certezza del diritto che insieme all‘equilibrio dei tre poteri il mio grande professore Paolo Barile, preparandomi all’esame di diritto Costituzionale, ci spiegava proprio nell’Universita’ in cui aveva insegnato uno dei padri costituenti, Piero Calamandrei, non potessero e dovessero mancare in uno Stato di diritto, ce li siamo giocati ai dadi. Siamo arrivati al punto (chissa’ come ci vedranno gli storici del futuro) che il governo o il parlamento deve chiedere il permesso ai giudici per poter legiferare su di loro. Dei tre poteri ne e’ rimasto uno ma cosi’ indipendente che gli altri due sono in posizione servile.
“Ho ragione oppure torto?” per ogni italiano alle prese con questioni civili o amministrative, e’ ormai sempre una domanda, e puoi consultare stuoli di avvocati, e di professori, ma nessuno di loro potra’ assicurarti la risposta, che vincerai una causa, una lite e in quanto tempo la decisione interverra’. C’e’ sempre una incognita imperscrutabile che rende “aver ragione” un punto interrogativo come la scommessa su un risultato sportivo: dipende dal giudice che troviamo.
Un altro mio professore all’Universita’, che si chiamava Malinverni, ci spiegava che il sistema americano, basato sui precedenti giurisprudenziali, era preferibile sul nostro (ogni giudice e’ soggetto alla Legge) perche’ qualsiasi giudice americano, dal piu’ stupido al piu’ intelligente, non puo’ decidere come vuole lui, ma prima quantomeno e’ costretto dal sistema a rintracciare una sentenza precedente che possa avvalorare la sua tesi.
E’ vero che nel corso del Novecento c’e’ stata una trasformazione radicale della fisionomia dei poteri pubblici, per cui il potere giudiziario non si caratterizza piu’ per una funzione esclusiva di risoluzione delle controversie (esercitata largamente anche dalla P.A.) ma per la capacita’ di dichiarare in via definitiva cio’ che e’ diritto nell’ambito dello Stato (cio’ grazie alla sua posizione di terzieta’). In altre parole, la funzione giudiziaria e’ stata investita da una crescente domanda sociale di giustizia che ha spinto i giudici ad abbandonare il loro habitus tradizionale di applicatori di leggi per divenire sempre piu’ interpreti del diritto. Ma resta pur sempre la peculiarita’ del sistema italiano dove la funzione giudiziaria e’ frantumata in tanti piccoli pezzi sovrani (i singoli giudici) che sono tante piccole monadi indipendenti non soggette ad alcun controllo o coordinamento. Mentre la politica risponde al popolo che elegge i propri rappresentanti, e il governo dipende dal parlamento, ogni giudice civile e amministrativo risponde solo a se stesso.