La politica italiana, per un momento limitiamoci al nostro orticello, dopo i partiti di massa azzerati da Mani pulite, ha offerto i partiti personali. Contro questi partiti (per es. Italia viva di Renzi) si sono scagliati gli estremisti di sinistra affezionati (a loro dire) ai partiti impersonali e/o di massa. Ora, sul piano strettamente storico, non si puo’ dire che i partiti personali appartengano alla seconda Repubblica (come IdV di Di Pietro) in quanto anche nella prima, tolti Dc e Pci, esistevano partiti piccoli legati ad un leader (il Pri di La Malfa o il Partito radicale di Pannella). Ma allargando la visuale oltre l’Italietta, e’ chiaro che tutti i partiti del mondo hanno nelle varie fasi ed epoche esaltato le virtu’ del leader carismatico in auge. Il partito democratico americano e’ stato una volta il partito di Kennedy o un’altra di Obama, come il partito laburista inglese (Blair) o la Spd (Brand, Schmidt), o lo stesso Pci (Togliatti, Longo, Berlinguer, Occhetto).
Veniamo ad oggi nella nostra politica politicante dove i partiti su base personale (quelli di Meloni, di Salvini, di Berlusconi, vivo o morto) sono di destra oppure di centro (Renzi, Calenda) e finanche Schlein, che si prende il pd facendo la guerra ai partiti personali, tenta di mettere il suo nome nel simbolo elettorale per le europee. Finanche quelli che si definiscono Movimento sono legati al fondatore (Grillo per i 5Stelle) e l’estrema sinistra non fa eccezione (Bonelli & Fratoianni, Vendola, Santoro, DeMagistris). Nel pd, che sembra l’ultimo partito dove esistono sezioni e congressi, l’ipocrisia e’ giunta al punto che ne hanno fatto una congregazione di partiti personali (il partito di Franceschini, quello di Orlando, quello di Guerini…cioe’ ogni corrente altro non e’ se non un partito personale).
Come ha scritto Francesco Cundari, “l’intervista al Corriere della sera in cui Giorgio Gori invitava ieri il Pd a riaprire il dialogo anche con i centristi di Matteo Renzi e Carlo Calenda ha sollevato critiche e ironie nell’area più a sinistra del partito – o per meglio dire, in quella proveniente dallo sfortunato esperimento di Articolo 1 – e personalmente devo dire che le condivido tutte, in pieno: sarebbe ora che nel Pd si cominciasse a fare qualcosa contro il malcostume per cui interi gruppi dirigenti, appena perdono un congresso o comunque non condividono la linea, si fanno il proprio partitino per attaccare meglio gli ex compagni, a tutto vantaggio della destra, salvo poi tornare all’ovile non appena cambia il vento. Fosse per me, un rigido divieto contro questo malcostume lo metterei persino nello statuto del Pd. Alla sola condizione che la norma sia retroattiva”.
Concludendo sul tema “partito personale” in Italia l’estrema sinistra (costituita da quelli che amano presentarsi sempre come puri e duri) passera’ alla storia dell’ambiguita’ e della bugia perche’ e’ riuscita a passare dal “culto della personalita’” (da Lenin a Gramsci, da Mao a Berlinguer) al frazionismo e al correntismo su base personale. D’Alema o Bersani che quando sono stati segretari del Pds o del Pd hanno diretto il loro bel partito personale portandosi in parlamento i loro amichetti, ne sono usciti quando erano in minoranza o rientrati quando al potere sono tornati dei loro amichetti.
Insomma, l’amichettismo e’ una categoria politica che spiega meglio di qualunque altra definizione i nuovi partiti presenti sulla scena politica del terzo secolo. Ogni leader, di destra, sinistra, centro, con i suoi amichetti si presenta alle elezioni con una sigla e quelli che continuiamo a chiamare per comodita’ e noncuranza “partiti” altro non sono che aggregazioni di amichetti ciascuno dei quali si aspetta dall’affermazione elettorale di ottenere un vantaggio personale o di gruppo. Tant’e’ vero che gli italiani in maggioranza non votano piu’ perche’ la stragrande maggioranza non vuole o non riesce a farsi degli amichetti.