Ieri la Commissione europea ha resa nota la lista dei sette Paesi il cui deficit pubblico supererà, quest’anno, il 3% del Pil, ed entrano quindi nella «procedura di deficit eccessivo», cioè diventano sorvegliati speciali: oltre alla Francia, il cui deficit supererà il 5%, Belgio e Italia (entrambi poco sopra il 4%), Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia. È la prima applicazione delle nuove regole fiscali europee che, grazie anche al lavoro di due italiani, il commissario europeo Paolo Gentiloni e il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, non saranno perfette ma sono certamente meno «stupide» di quelle prima in vigore.
Ai Paesi sotto sorveglianza continua ad applicarsi un vincolo in più: uno Stato sopra il 3% deve comunque ridurre il rapporto debito-Pil, finché rimane in procedura, almeno dello 0,5% l’anno. Ma con delle deroghe che prima non c’erano: la misura del deficit verrà d’ora in poi calcolata escludendo una parte della spesa per interessi e alcune spese militari. Queste deroghe rendono il vincolo un po’ meno stringente.
Nelle prossime settimane si aprirà quindi una discussione con l’Europa su quanto l’Italia debba fare per soddisfare questo vincolo, oltre a una discussione su quale debba essere la traiettoria della spesa pubblica per i prossimi sette anni, l’orizzonte delle nuove regole fiscali.
Poiché tutto questo è noto da marzo, quando furono approvate le nuove regole, ci saremmo aspettati che il governo avesse già pronta una proposta da inviare a Bruxelles: quanto dell’aggiustamento verrà fatto con la prossima Legge di bilancio e quanto ci si riserva di chiedere alla Commissione in termini di flessibilità sulla spesa per interessi e sulle spese militari. Finora nulla di tutto ciò è accaduto. Semmai le novità fiscali di questi mesi, complici le elezioni europee, sono andate nella direzione opposta. Ad esempio il governo non ha ancora deciso come finanziare la decontribuzione dei salari, che altrimenti decade a fine anno, e il bonus fiscale della Befana 2025: 100 euro lordi per i contribuenti con coniuge e almeno un figlio a carico e stipendio annuo inferiore ai 28.000 euro.
Come scritto da Francesca Basso l’Ufficio parlamentare di bilancio calcola che «l’aggiustamento richiesto all’Italia per rispettare il nuovo quadro di regole sia di 0,5-0,6 punti percentuali di Pil all’anno su un sentiero di aggiustamento settennale». La correzione dei conti in base alla procedura sarà quindi di circa 10-12 miliardi l’anno, cui dovranno aggiungersi circa 20 miliardi di euro per rifinanziare tutte le misure varate nel 2023 e non ancora coperte, come gli sgravi per le contribuzioni, più alcune spese indifferibili. La manovra lorda per il 2025 sarebbe quindi pari a 32 miliardi(20 da reperire con tagli equivalenti e/o risparmi o spostamenti di altre spese e 10 di taglio del deficit).
Ma il ministro Giorgetti non sembra aver fatto i conti con gli effetti della Legge sull’Autonomia differenziata. La nuova legge consente alle Regioni di scegliere se rimanere nel vecchio regime — in cui le spese regionali erano finanziate grazie ad un trasferimento dallo Stato negoziato anno per anno: tanto per la sanità, tanto per la protezione civile, etc — oppure accedere al regime di Autonomia. In questo caso la Regione non versa più tutto il gettito dell’Iva allo Stato, ma ne trattiene una quota sufficiente a coprire le sue spese: protezione civile, etc.
C’è però un aspetto sottile che la legge del ministro Calderoli inizialmente non aveva considerato. Nel primo anno di applicazione della nuova legge non cambia nulla, la Regione, ad esempio, spende un miliardo di euro e trattiene una quota dell’Iva corrispondente ad 1 miliardo di euro: diciamo il 2 per cento. Negli anni successivi, però, quel 2 percento può essere troppo poco, cioè non bastare per coprire le spese, oppure eccessivo, cioè lasciare troppe risorse alla Regione: dipende da quanto rapidamente crescono le spese regionali e il gettito Iva.
Ancora ad esempio, nelle Regioni che hanno un gettito in calo — perché stanno perdendo abitanti o comunque si stanno impoverendo — l’Iva trattenuta non basterà, e quindi dovrà intervenire lo Stato (perché le spese regionali sono determinate dai «livelli essenziali delle prestazioni» che saranno uguali per tutti, e quindi non possono essere tagliate. Invece, nelle regioni dove il gettito Iva cresce più rapidamente ci sarà un eccesso che rimarrà alla Regione la quale potrà impiegarlo per altre spese.
L’effetto aggregato è che lo Stato dovrà intervenire nelle regioni con gettito in calo, senza avere le risorse necessarie per farlo, che rimangono alle regioni con gettito in crescita più della media. Del problema si è accorto il ministro Calderoli che ha cercato di porvi riparo con un emendamento. Questo prevede che quel 2% , nel nostro esempio, sia rinegoziato fra lo Stato e la Regione anno per anno: una trattativa politicamente difficile in cui io temo che a perderci sarà lo Stato.
Domani, quando tutte le informazioni saranno disponibili, la politica di bilancio non tornerà al centro del dibattito politico. Continuerà ad occuparsene il ministro Giorgetti, il quale, io penso, fra le preghiere della sera inserisce una supplica al buon Dio di mandarlo a Bruxelles, sollevandolo da un incarico per il quale si prospettano tempi bui.
Ma sono problemi che riguardano anche le imprese: che accadrà alle norme sulla concorrenza che il Pnrr impegna il governo ad attuare annualmente seguendo almeno alcune delle raccomandazioni dell’Autorità antitrust? Si discuterà invece della riforma della Giustizia, e poi comincerà la preparazione del referendum costituzionale sul «Premierato». Tutti argomenti certamente più importanti del bilancio, ma non per un imprenditore che deve fare delle scelte che dipendono da ciò che decide il suo socio di maggioranza, lo Stato, al quale versa la quota maggiore del suo margine operativo lordo.