In Italia esiste da sempre una maggioranza qualificata trasversale che ha una grandissima totalizzante considerazione della Politica. La politica (o l’arte politica) sarebbe l’unica dote o requisito o qualita’ richiesti ad un uomo politico, ad un capo di governo, ad un presidente di Regione, ad un sindaco. Quelli come me che vorrebbero che un sindaco, per esempio, fosse prima un buon amministratore e poi un politico, sono minoranza. “Politica” secondo il sociologo tedesco Max Weber significava « aspirazione a partecipare al potere o a esercitare una certa influenza sulla distribuzione del potere, sia tra gli Stati sia, all’interno di uno Stato, tra i gruppi di uomini che esso comprende entro i suoi confini». Segnalato che si puo’ vivere di politica o per la politica, per Weber tre qualità sono soprattutto decisive per l’uomo politico: la passione; il senso di responsabilità; la lungimiranza.
Il peggior difetto del politico è, per Weber, la vanità, ossia il bisogno di porre se stessi in primo piano, e ciò può spingerlo a due “peccati mortali”:
- l’assenza di una causa che giustifichi le sue azioni e
- la mancanza di responsabilità che lo porta ad aspirare al potere per il potere stesso.
Tutto cio’ premesso, prendiamo oggi (vale a dire un’epoca ben diversa dai primi anni venti del novecento quando scriveva Weber) e chiediamoci se, per esempio, un sindaco deve avere o no alcune competenze riguardanti il bilancio pubblico, il diritto amministrativo, la gestione di impresa, o deve essere solo un totus politicus? E in Europa la Meloni chi puo’ mandarci a rappresentare l’Italia se nessuno parla inglese?
(Marco Galluzzo, Corsera) Di sicuro per l’Italia la partita è più complessa che per altri Paesi. Sia per le scelte recenti di Giorgia Meloni, sia per la penuria di candidati validi che il governo può avanzare di fronte alle offerte che Ursula von der Leyen farà nei prossimi giorni. […] se si toglie Raffaele Fitto, che resta il nostro candidato di punta, sembra che a Palazzo Chigi al momento non abbiamo altri nomi di pari peso.
Un peso politico, che però deve avere anche delle precise competenze tecniche, oltre che linguistiche (parlare bene l’inglese), che non è stato individuato per altri esponenti.
Nella partita che si svolgerà sino al 18 luglio, il giorno in cui von der Leyen dovrà essere riconfermata, a meno di sorprese e franchi tiratori, dal Parlamento dell’Ue, un dato appare non marginale: il governo sembra non avere una rosa di nomi alternativi a Fitto, nel caso in cui le deleghe richiedessero dei know how particolari.
[…] Tornando ai posti nella Commissione non è un segreto che nel governo ci sia un deficit abbastanza diffuso rispetto alla lingua inglese, che a Bruxelles è indispensabile per lavorare: lo stesso Guido Crosetto, che pure è circolato come candidato nel caso in cui le deleghe offerte a Roma fossero la Difesa e lo sviluppo di un’industria militare della Ue sembra che non sia proprio fluente nella prima lingua che viene utilizzata nei palazzi della Ue. Lui in ogni caso dice di non essere interessato, come del resto Giancarlo Giorgetti, che però da alcuni mesi sta facendo, come Fitto, una full immersion di lezioni della prima lingua parlata al mondo.
Sono considerazioni che possono apparire marginali, ma che non lo sono se si sommano alle esperienze professionali pregresse e al fatto che dovranno superare un esame meticoloso di fronte al Parlamento di Strasburgo. Un aneddoto di qualche mese fa, inedito, racconta che l’ad di Amazon, in visita a Palazzo Chigi, ne uscì un’ora dopo insoddisfatto, perché Meloni aveva accanto a sé il ministro Urso, che a sua volta aveva bisogno di un traduttore, cosa che dimezzò i tempi del confronto.