Un’isola è un’isola, lo sappiamo, e da tempo, verrebbe da dire per fortuna, quel che succede in Inghilterra non ha il potere di influenzare il resto d’Europa, e nel bene e nel male quel che capita a Londra, e dintorni, ci riguarda sempre fino a un certo punto. Eppure, di fronte all’ascesa di Keir Starmer, di fronte al trionfo del Labour, di fronte all’affermazione di una sinistra contemporanea che riesce a essere europea senza negare la Brexit, che riesce a non demonizzare il mercato pur apprezzando lo stato, che riesce a non perdere un briciolo del suo atlantismo pur avendo dovuto fare i conti con un passato corbyniano, che riesce a dirsi senza paura amica dell’Ucraina senza dover assecondare lo spirito della bandiera bianca, di fronte a tutto questo, di fronte a un leader che mostra al mondo una sinistra che riesce a vincere tenendo la barra dritta, e non facendo concessioni alla demagogia, viene voglia di dire, di urlare e di gridare che una sinistra così è un peccato che resti isolata.
È difficile che i campioni della sinistra italiana, oggi, possano esultare con convinzione di fronte al trionfo del Labour di Starmer. È difficile perché un pezzo non indifferente della sinistra italiana, guardando all’Inghilterra, si sentirebbe più a suo agio se a vincere le elezioni, viste le posizioni del Pd sull’Ucraina, viste le posizioni del Pd sul medio oriente, viste le posizioni del Pd sul mercato, oggi ci fosse un Corbyn invece che uno Starmer. Eppure la parabola di Starmer, la sua storia, il suo programma, il suo modello, dice alla sinistra italiana, e non solo a quella, qualcosa di importante. Si può provare a vincere senza essere semplicemente anti qualcosa. Si può provare a vincere senza essere semplicemente un argine alle destre. Si può provare a vincere senza cercare semplicemente di difendere la propria rendita di posizione ma compiendo qualche passo importante per restare se stessi senza aver paura di parlare anche agli altri, a chi non ti ha mai votato, a chi ha sempre preferito gli avversari, a chi ti ha sempre disprezzato.
La storia di Starmer, che giovedì ha conquistato e superato la maggioranza assoluta dei seggi necessari per avere il dominio del Parlamento inglese, ci dice che si può essere di sinistra senza dispiacere alla destra ed è significativo che la vittoria di Starmer sia stata auspicata anche da giornali non progressisti come il Sunday Times e come il Sun. Ci dice questo ma ci dice anche altro. Ci dice che si può essere di sinistra senza dover assecondare necessariamente la retorica pacifista, come dimostra il fatto che Starmer, in campagna elettorale, ha fatto quello che fece Giorgia Meloni quando era all’opposizione del governo Draghi, dicendo: se ci sarà un cambio di governo a Londra – ha ripetuto per mesi – il sostegno britannico a Kyiv non cambierà. Ci dice che si può essere di sinistra senza aver paura di parlare di crescita, senza aver paura di dire che il modo migliore per combattere le diseguaglianze non è colpire i ricchi ma è aumentare il benessere, ingrandire la torta, per poi provare a redistribuirla (Starmer in campagna elettorale ha insistito sul fatto che la missione principale del Labour è quella di aumentare la crescita economica del Regno Unito, e il suo manifesto menziona il termine crescita più di duecento volte).
Ci dice che si può essere di sinistra senza doversi dire necessariamente nemici della globalizzazione, senza vergognarsi di voler creare un paese più favorevole a chi fa profitto, senza vergognarsi di scommettere sul capitalismo, e la sinistra italiana dovrebbe appuntarsi sul taccuino una promessa fatta da Starmer in campagna elettorale: “Attirare” tre volte più investimenti privati nei settori ad alta crescita. Ci dice questo e ci dice che si può essere di sinistra, e a favore della transizione ecologica, senza essere ideologici, senza essere autolesionisti, senza trasformare la battaglia per il verde in un’aggressione al benessere del paese, e che si può essere a favore di un processo di decarbonizzazione del paese dicendo, da sinistra, quanto sia importante che un governo consideri l’energia nucleare come una “parte fondamentale” del mix energetico. “Il mio governo”, ha detto Starmer in campagna elettorale, “abbasserà le bollette energetiche domestiche, creerà posti di lavoro e garantirà la sicurezza energetica della Gran Bretagna. Il nucleare sarà una parte fondamentale del mix energetico del Regno Unito”.
La parabola di Starmer ci dice che si può essere di sinistra, e sostenitori della politica industriale di un paese, senza dover necessariamente dire che lo stato, per essere ben funzionante, ha bisogno di alzare le tasse, e anche qui Starmer avrebbe molte cose da insegnare alla sinistra italiana. “Siamo stati molto chiari – ha detto in campagna elettorale il nuovo primo ministro inglese – sul fatto che non siamo qui per aumentare l’imposta sul reddito, l’assicurazione nazionale e l’Iva, e siamo stati chiari sul fatto che nessuno dei nostri piani ci richiede di aumentare le tasse”. Si può essere di sinistra senza alzare le tasse e abbassandole persino? Certo che sì. E si può essere di sinistra senza prestare il fianco alla parte più di sinistra del tuo partito che ti chiede di scaricare il senso di colpa dell’occidente e l’odio per il capitalismo su Israele? Starmer ha dimostrato che si può.
Lo ha fatto senza cedere mai di un millimetro nella sua difesa di Israele, che non necessariamente ha coinciso con la difesa di Netanyahu, e lo ha fatto arrivando a espellere dal partito l’ex leader Jeremy Corbyn, cacciato dal partito, ricorderete, con l’accusa di favorire l’antisemitismo. La storia di Starmer offre spunti di riflessione importanti a chi si rassegna ad avere, in Italia, una sinistra che sceglie di vivere nella sua ridotta minoritaria. Ma la storia di Starmer ha molto da dire anche a tutti coloro che dal centro guardano, con sguardo beffardo, osservano la parabola del Labour inglese rimproverando il Pd di non essere più quello di un tempo e alludendo al fatto che con un Pd come quello modello Starmer si potrebbe stare tutti di nuovo insieme forse. Un po’ facile così. Perché la storia di Starmer ci insegna altro.
Ci insegna che anche quando non si condivide la linea di un partito, come è stato il caso di Starmer che ai tempi di Corbyn, pur non condividendo nulla o quasi della sua visione del mondo, accettò di fare il suo ministro ombra, non bisogna avere fretta, bisogna aspettare, bisogna avere la pazienza di aspettare il proprio turno e, come ha detto Starmer commentando la sua coabitazione con Corbyn, fare di tutto per essere nella posizione di poter ribaltare la situazione quando si sarebbe presentata l’occasione. Messaggio chiaro: meglio aspettare il proprio momento dentro un grande partito che cercare il proprio momentum uscendo fuori da un grande partito solo per poter essere qualche giorno in più sulle prime pagine di un giornale. Ed è meglio puntare a costruire una grande tenda, che ovviamente il sistema elettorale inglese favorisce a differenza del nostro, che puntare a dividere la tenda in mille pezzetti, sperando che poi ci sia qualcuno che sappia rimettere insieme i pezzi, i cocci. Ci sono molte cose che Starmer – che non rinnega la Brexit, lo sappiamo, ma che potrebbe cercare con l’Unione europea nuovi accordi sulla difesa, sulla sicurezza, sulla giustizia, e non solo – può insegnare alla sinistra italiana.
Ma la lezione più importante che arriva dall’isola felice della sinistra europea riguarda non un tema specifico ma un approccio generale. Se accanto a te c’è un estremista, non devi essere più estremista di lui per disinnescare la sua minaccia. Se accanto a te c’è un populista, non devi rincorrerlo per essere più populista di lui. Se pensi che ci sia una causa giusta da difendere anche se questa non è popolare difendila provando a guidare i tuoi follower senza farti guidare da loro. E se c’è una battaglia giusta che la destra ti ha scippato in questi anni non considerarla sbagliata solo perché l’ha portata avanti un partito avversario. Si scrive Starmer, si legge realtà. Si scrive Inghilterra, si legge futuro.