Quella che avete visto arrivare, sia pure con qualche patema, alla semifinale, non è una squadra africana benevolmente ammessa ai campionati europei di calcio. È proprio la Francia. Quando nei quarti contro il Portogallo è uscito Antoine Griezmann — che peraltro ha un padre tedesco, una mamma portoghese e una moglie spagnola —, in campo sono rimasti dieci francesi della pelle nera (chiamati in Francia black), e di origini per lo più africane o mediorientali, come William Saliba, papà del Libano e madre del Camerun. L’unico bianco era il capitano del Milan, Theo Hernández, famiglia catalana di Girona, compagna italiana di Verona.
È sbagliato giudicare le persone dal colore della loro pelle e dal posto da cui vengono. Lo dice persino Marine Le Pen. Ma è sbagliato pure pensare che il lepenismo sia il futuro della Francia e dell’Europa. Quando la gente vota di più, come alle elezioni di ieri — una partecipazione che non si vedeva dai tempi della prima vittoria di Mitterrand —, il lepenismo è seccamente battuto.
Raffigurare i figli di immigrati come una masnada di barbari che non sa il francese, odia tutti, vivrà di sussidi pubblici sino alla pensione, e nell’attesa passa le giornate a cucinare strani cibi dall’odore disgustoso e le notti a suonare bonghi o a picchiare poliziotti, è una caricatura utile a farsi invitare nei talk-show e a prendere voti, ma non rispecchia la Francia di oggi, e non aggrega la maggioranza. Basta analizzare il voto di ieri. E basta farsi un giro a Saint-Denis, il quartiere di immigrati che sarà la sede delle prossime Olimpiadi, sorto attorno alla cattedrale dove sono sepolti i re di Francia. Certo, non è un quartiere modello. Ma non è un ghetto o un laboratorio di delinquenza o l’incubatrice del terrorismo. È un quartiere di gente che lavora duro per dare ai figli una prospettiva migliore. È quello che ha provato a dire Kylian Mbappé, con la generosità del fortunato che non ha il timore di esporsi in nome degli altri: mettetevi nei nostri panni; come vi sentireste se un terzo e più dei vostri compatrioti votasse contro di voi?
Senza l’immigrazione, la Francia si fermerebbe. Non sarebbe quella che è. Senza l’Europa, poi, non potrebbe permettersi tremila miliardi di euro di debito pubblico; che non sono finiti tutti nelle banlieues. E, parliamoci chiaro, il lepenismo è nato e prosperato per due motivi: l’ostilità agli immigrati; e il nazionalismo anti-europeo.
Forse anche per questo i francesi amano parlare di «rupture», rottura, di «changement», cambiamento; ma poi quando arrivano lì lì, come ieri, nel segreto dell’urna alla maggioranza trema un po’ la mano. O forse sono più saggi di come li pensiamo.
I risultati definitivi e che cosa succede oggi, in diretta
Ora a sinistra la presenteranno come una grande vittoria della Gauche e del fronte repubblicano. In realtà è stata innanzitutto una battuta d’arresto del lepenismo, che resta forte, ma non ha ancora convinto quel 50% più uno, senza cui non si conquista la maggioranza in Parlamento. E neppure l’Eliseo.
Alla fine, Macron ha dimostrato di non essere proprio quel matto sprovveduto che è stato dipinto. Certo, la sua figura è ormai ridimensionata; così come il ruolo del presidente. Mai dal 1958 il Parlamento è stato così importante; da qui la partecipazione record. La maggioranza dei francesi Macron non lo vuole più. Però non vuole neppure Marine Le Pen. A cui non è andata poi così male. Se Jordan Bardella avesse fatto bene come primo ministro, il candidato naturale alla presidenza della Repubblica sarebbe diventato lui, e non la sua mentore, sconfitta già tre volte. Se invece — come molto, ma molto più probabile — avesse fatto male, avrebbe bruciato pure lei. Il suo Rassemblement National ha perso molti collegi anche perché ha candidato personaggi impresentabili, apertamente razzisti — «brebis galeuses», pecore nere, li ha definiti Bardella —, il che in Francia rappresenta ancora un tabù; eppure una parte dell’establishment economico e finanziario ormai considera Marine Le Pen un male minore. Detto questo, Marine ha un solo modo per diventare presidente fra tre anni: andare al ballottaggio con Jean-Luc Mélenchon.
Il Nuovo Fronte popolare ha avuto un buon successo, ma non è destinato a durare. Non soltanto gli europeisti di Raphaël Glucksmann, anche i socialisti di François Hollande hanno poco in comune con il populismo di Mélenchon e le sue sbandate in politica estera. Ora in Parlamento si cercherà una maggioranza che rispecchi la coalizione un po’ innaturale che si è creata nelle urne: sinistra riformista, destra non anti-europea, centro macroniano. Una maggioranza che ha tre anni di tempo per individuare un candidato in grado non solo di battere l’estrema destra, ma di rappresentare tutte le anime della Francia e riunire il Paese. Un ruolo importante potrebbe averlo appunto Hollande, l’ex presidente, rientrato in lizza nel momento gusto.
Perché, oltre all’immigrazione e all’Europa, c’è un terzo motivo dietro il successo del populismo anti-sistema. È l’impoverimento del ceto medio. Trent’anni fa, quando Jean-Marie Le Pen coglieva i primi successi, il problema era la disoccupazione, la fine del lavoro. Oggi il lavoro si trova. Ma è pagato troppo poco per dare una prospettiva di vita al lavoratore. Anche in Francia i veri ricchi riescono a sottrarsi al fisco: non possono prendere la residenza fiscale a Montecarlo (la facciamo pure noi una leggina di una riga che lo vieti?), però hanno la Svizzera a due passi, e pure il Belgio una strizzatina d’occhio ai grandi capitali l’ha data. Il ceto medio si ritrova a sostenere il peso della più grande pressione fiscale dell’Europa continentale, in cambio di servizi migliori di quelli italiani ma comunque in rapido peggioramento. Il prezzo dell’immigrazione, che fa abbassare salari e diritti, cominciano a pagarlo non solo le classi popolari, ma appunto i ceti medi. Senza considerare che le città di provincia in Francia non hanno la stessa vitalità delle nostre, sono piene di cartelli «à vendre», «à louer» — vendesi, affittasi —, hanno visto chiudere gli storici punti di incontro, sono abitate da persone che invecchiano senza prospettive e temono che figli e nipoti staranno peggio di loro.