Quando il Parlamento approva una riforma che si occupa di limitare i reati evanescenti, che si occupa di governare gli abusi delle indagini, che si occupa di limitare le intercettazioni irrilevanti, che si occupa di proteggere la privacy dei cittadini, che si occupa di porre un argine al sistema della gogna, che si occupa di evitare che ogni richiesta di custodia cautelare venga approvata automaticamente, che si occupa di non trasformare ogni avviso di garanzia in un ventilatore di letame e che in definitiva cerca di non assecondare l’idea che l’Italia debba essere necessariamente una repubblica fondata non sul lavoro ma sullo strapotere delle procure e sull’egemonia del circo mediatico-giudiziario. Ecco, quando capita tutto questo, esistono due modi di reagire.
Il primo modo è disperarsi, chiamare l’esercito, evocare il golpe, invocare lo scandalo, agitare il bavaglio, organizzare girotondi e disperarsi per ragioni evidenti. Perché – con la riforma approvata ieri, riforma che va ad abrogare l’abuso d’ufficio, che precisa i contorni del traffico di influenze, che introduce il divieto di riportare nei verbali di trascrizione delle intercettazioni espressioni irrilevanti, che introduce l’istituto dell’interrogatorio preventivo della persona sottoposta alle indagini preliminari – i magistrati avranno un po’ meno possibilità di condire le proprie indagini con elementi irrilevanti, di trasformare i sospetti in reati senza pistole fumanti, di utilizzare il processo mediatico per far sì che gli indagati possano essere trasformati in colpevoli fino a prova contraria. Ci si può disperare, si può chiamare l’esercito, si possono organizzare girotondi. Oppure ci si può rallegrare per il fatto che, per una volta, vi sia un Parlamento desideroso di onorare due articoli della Costituzione che gli apostoli della Carta tendono spesso a ignorare.
Articolo 15: la libertà e la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni è inviolabile. Articolo 27: ogni indagato è innocente fino a sentenza definitiva.
La battaglia politica e culturale che si presenta di fronte ai nostri occhi ogni volta che si ragiona attorno ai confini del garantismo non è solo tra chi vuole difendere il circo mediatico-giudiziario e chi lo vuole limitare, non è solo tra chi accetta il libero sputtanamento degli indagati e chi invece lo considera un abominio dello stato di diritto, non è solo tra chi chiede che i magistrati si occupino di combattere i fenomeni e chi i reati, ma è tra chi considera legittimo avere una Repubblica fondata sul processo mediatico e chi considera la Repubblica fondata sulla gogna una vergogna. La battaglia, anche in questo caso, di fronte alla riforma Nordio, è tra chi considera necessario difendere la Costituzione dagli sciacalli dello stato di diritto e chi considera legittimo spacciare per diritto di cronaca il diritto allo sputtanamento.
Il pacchetto della riforma Nordio, che speriamo venga presto accompagnato anche da un’accelerazione in Parlamento della riforma che riguarda la separazione delle carriere e i nuovi criteri di nomina dei membri del Csm, può essere criticato perché non è abbastanza coraggioso. Perché l’abuso d’ufficio viene abrogato ma contestualmente viene introdotto un bizzarro peculato per distrazione. Perché l’interrogatorio prima della custodia cautelare non vale per molte ipotesi di reato. Perché il giudice collegiale verrà introdotto solo tra un paio di anni e non varrà per gli arresti domiciliari. Perché l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte del pm varrà solo per reati minori, i così detti reati a citazione diretta. Ma solo chi è affezionato all’idea che l’Italia debba essere condannata a vivere in una Repubblica giudiziaria fondata sullo strapotere delle procure può non rallegrarsi di fronte a una riforma che altro non fa che dare una spolverata allo stato di diritto mettendolo al riparo dai finti amici della Costituzione. Avanti così, grazie.