Com’era prevedibile arrivano i nostrani dem insoumis, eccitati dalla “vittoria”, tra molte virgolette, di Jean-Luc Mélenchon, visto da taluni come una specie di Lenin 2.0, nuovo capo della sinistra europea che avrebbe la Francia in mano (si vedrà presto che non è affatto così).
Anche Elly Schlein, che comunque ha la testa sulle spalle più di quanto si creda, un pochino si è fatta abbacinare dal risultato francese e ne ha dedotto che «uniti si vince», senza chiarire che in Francia uniti si impedisce alla destra di prevalere, nulla di più e nulla di meno, mentre per governare ci vuole la politica e un sano realismo (riassunto nella lettera di Emmanuel Macron ai concittadini).
In Italia l’unità sarà certo importante, non tanto per non fare vincere Giorgia Meloni, ma per governare: sono due cose diverse, solo in parte sovrapponibili. Per Goffredo Bettini, da anni insoumi dopo una vita ideologicamente più assennata, dalle urne francesi invece emergerebbe che ha fallito il liberismo o «ipercapitalismo», insomma quelle cose brutte che creano tanta miseria, e in un non breve articolo sull’Unità si dimentica di annotare che il vincitore politico si chiama Emmanuel Macron e che sarà questi a dare le carte (avendo tra l’altro più deputati dei melenchoniani). Preferisce scrivere, Bettini, che «dopo la sua straordinaria vittoria» Mélenchon «ha fatto bene a rivendicare le sue proposte economiche e sociali» che con ogni evidenza rappresentano un problema per un programma condiviso e soprattutto credibile e non certo la soluzione, tanto è vero che o rinuncerà alle sue proposte scassa-bilancio finirà in minoranza nel Front Populaire dove sta emergendo una certa disponibilità al Rassemblement repubblicano evocato da Macron.
Poi c’è Andrea Orlando, intervistato dal Manifesto, che dal voto francese trae una lezione persino teorica: «Il mercato è cambiato e si è evoluto, ma l’ideologia del mercato ha fallito. C’è una concentrazione di ricchezze, di informazioni, di potere, che non è compatibile con la democrazia». Tesi forte, e non nuova, quella della incompatibilità tra capitalismo, o perlomeno questo stadio del capitalismo, e democrazia. Ancora Orlando dice: «Berlinguer diceva che non esiste socialismo senza democrazia. Oggi bisogna prendere atto che alla democrazia servono alcuni elementi di socialismo per sopravvivere. I dogmi del libero scambio sono già stati messi in discussione dalle esigenze di sicurezza, ora il punto è come far sì che questa regolazione segua anche criteri ambientali e sociali».
Gli «elementi di socialismo» ci riportano a tanti decenni fa, quando appunto Enrico Berlinguer credeva di poter introdurre questi elementi di socialismo (ma quali?) in un sistema capitalistico. Si è visto com’è finita.
Ora, sul piano del dibattito interno è chiaro che la scommessa vinta da Macron, che era quella (e solo quella) di sbarrare il portone di Matignon a Le Pen-Bardella, finisce per alimentare la riscossa degli insoumis nostrani, da trent’anni a caccia dello scalpo “liberista” – ma allora non si gloriassero della vittoria di Keir Starmer che non è certo un anticapitalista – e da una decina d’anni in competizione con il riformismo italiano che peraltro Orlando ha assecondato facendo parte di quei governi.
Non è chiaro se gli insoumis del Nazareno, sulle ali del frontismo di cent’anni fa, intendano portare a casa qualche risultato sul piano della linea politica e della direzione effettiva del Partito democratico. Intanto però ieri Elly Schlein ha fatto una prima importante scelta avallando la conferma di Pina Picierno alla vicepresidenza dell’Europarlamento per la quale si erano scaldati, in vario modo e con intensità diverse, Stefano Bonaccini e Antonio Decaro. Picierno ha tenuto il punto, forte anche delle sue ampie relazioni che vanno al di là della famiglia socialista. Almeno a Bruxelles gli insoumis possono attendere.