Giannola (Svimez) spiega come rimediare all’autonomia differenziata

La legge sull’Autonomia differenziata è «vergognosa», una norma – approvata grazie alla furbizia di Calderoli e all’insipienza del Parlamento – che sarà «eutanasia per il Sud e, alla lunga, un suicidio per il Nord». Adriano Giannola, economista di rango e presidente di Svimez, demolisce sia la riforma che la strada percorsa per approvarla.

Ma offre anche un suggerimento per recuperare a chi, Meloni in primis ma anche altri pezzi delle istituzioni, dovrebbe provare a tamponare le falle di una legge che rischia di fare a pezzi l’Italia. «Non ci vuole la rivoluzione – spiega –, basterebbe ancorare le intese tra Stato e Regioni per il trasferimento delle materie a politiche di perequazione, superando la spesa storica». Un modo per rimettere, nei fatti, la Costituzione e la solidarietà nazionale al centro di un discorso in cui la questione meridionale è scomparsa. «Sarebbe una soluzione civile, ma non ne parla nessuno», evidenzia con un filo di amarezza Giannola.

Altro che perequazione: qui più che restituire al Sud ciò che gli è stato tolto nel corso degli anni il rischio è che il Mezzogiorno si svuoti. L’Autonomia differenziata può contribuire allo spopolamento?
«Il fenomeno è in atto dal 2011. Da allora Svimez parla dello tsunami demografico che si è abbattuto sul Mezzogiorno. E Istat calcola che nel 2065 ci saranno 5 milioni di abitanti in meno al Sud. Certo, l’Autonomia differenziata può accelerare questo processo che è già in atto perché le regioni più ricche attraggono la forza lavoro più qualificata. Con la possibilità di puntare su incentivi differenziati e stipendi maggiorati questa patata bollente diventerà esplosiva. Ma non è un caso, è una strategia…».

Pianificata da chi?
«Il ministro Roberto Calderoli è stato furbo: ha rovesciato la logica dell’Autonomia che per la Costituzione è un’opzione da accompagnare con quanto previsto dall’articolo 119 che prevede fondi perequativi e Lep per tutelare i diritti sociali».

Dove sta la furbizia di Calderoli?
«Ha invertito il ragionamento e fatto sì che la legge passasse senza che fossero previste tutele e perequazioni: ha fatto in modo che si rompesse la diga con una formulazione che è contro la costituzione. Il Parlamento è stato preso in giro senza che nessuno si alzasse a dire “ma che state facendo, siete pazzi? ”. Si è messa in campo una legge immodificabile e irreversibile. Una volta fissate le intese con le Regioni si va avanti con la spesa storica e le sue iniquità e nessuno ha detto niente. Per le materie non soggette a Lep potrebbe accadere già domani. È una rendita garantita per il Centro-Nord».

Da più parti, però, si avanzano dubbi anche sui danni che l’Autonomia farà anche al Nord. Cosa significa?
«Significa che la logica che sottende alla riforma è che il Sud sia incapace. Il Nord sa bene di essere in crisi e si illude di tornare a correre liberandosi di quella che considera una palla al piede. Ma nello scacchiere economico europeo il Nord è un sub-fornitore che dipende dalla regia tedesca. Non disegna strategia e per di più perde terreno».

Dunque la riforma non conviene a nessuno?
«Nell’immediato la limitazione delle risorse che non vanno al Mezzogiorno, che sono certificate e valgono 60 miliardi all’anno, rappresenta una lenta eutanasia che si aggiunge a quella demografica. Ma questa strategia è, alla lunga, fallimentare anche per il Nord, perché il Meridione è il suo più grande mercato. Sarà un lento suicidio: l’Italia non cresce da 30 anni e non è certo colpa del Sud».

Forse se ne accorge anche il centrodestra. Il governatore della Calabria ha chiesto una moratoria sull’Autonomia differenziata e le voci dissenzienti sono in aumento. È una ribellione tardiva?
«Occhiuto, per la verità, ripete da tempo le sue perplessità. Forse il problema è che Forza Italia tutta avrebbe dovuto avere più coraggio: non lo hanno avuto neppure per presentare un emendamento. Sarebbe bastato dire con chiarezza che non erano contrari all’Autonomia tout court ma che erano contrari a questa Autonomia. E invece Governo e Parlamento si sono coperti di vergogna perché hanno consentito alla Lega di imbastire questa riforma che è un gioco delle tre carte. Il Parlamento ne esce annientato. Ora non basta chiedere la moratoria, bisogna agire. Ma bisognava agire prima: ho suggerito per mesi di far votare emendamenti a tutela dei diritti dei cittadini e nessuno ha ascoltato: ma sono dei politici questi? Ora, però, Meloni deve correre ai ripari».

Come?
«Può imporre che ogni intesa con le Regioni sia vincolata a politiche di perequazione che superino la spesa storica che ha sempre penalizzato il Sud. La presidente del Consiglio dovrebbe ridare aria al fondo perequativo che è stato smontato e portato da 4,5 miliardi a 800 milioni di euro. Si può trovare il modo di ridare al Sud i miliardi che gli sono stati sottratti. Non serve la rivoluzione, questa sarebbe una soluzione civile e forse non è un caso se nessuno ne parla».

E il referendum: non ci crede?
«Ben venga il referendum e, in generale, la massima mobilitazione possibile. Ci sono però dubbi sulla possibilità che la consultazione sia consentita e, in generale, bisogna fare in modo che l’Autonomia sia attuata con un percorso chiaro e nel modo corretto. Tocca rimettere in ordine le cose: prevedere perequazioni e fondi per i Lep. Allora anche la Corte costituzionale potrebbe dire che non c’è una lesione dei diritti. Però insisto: non mi pare che qualcuno ne parli e la più interessata a farlo sarebbe proprio Giorgia Meloni».

Perché, quali sono i rischi per la premier?
«Partiamo da un luogo comune da smontare: si parla molto di Stato arlecchino con l’Autonomia differenziata ma non è che le cose stiano proprio così. La legge lascia alle Regioni la possibilità di mettersi d’accordo e creare intese tra loro per gestire le risorse. Immaginiamo che le grandi Regioni del Nord lo facciano. A quel punto a Roma resterà soltanto l’illusione di governare mentre i veri interessi saranno altrove. Altro che Premierato: il governo Meloni butta a mare lo Stato».

In che senso?
«Con gli interessi economici tutti spostati verso Nord con chi sceglierebbe di parlare l’Unione europea: con Roma o con Milano? Io credo che Calderoli e il governatore veneto Zaia conoscano la risposta. Su Meloni comincio ad avere qualche dubbio».