Non è dato sapere se il governo guidato da Giorgia Meloni arriverà o meno a fine mandato, ma sembra sempre più evidente che la coalizione di destra sia meno solida e meno compatta rispetto alle premesse e al risultato delle elezioni politiche. In altre parole, si può sconfiggere al voto. Ma costruire un’alternativa alla destra significa anzitutto scegliere quali occhiali indossare per guardare il mondo: in che direzione vogliamo andare, che tipo di società e quali priorità abbiamo in mente, quali speranze vogliamo alimentare.
Da troppo tempo, però, la sinistra in Italia si trova inchiodata a un bivio: rimanere ancorati a un’identità rassicurante o abbracciare il coraggio della trasformazione.
Una scelta da prendere non tanto e non solo in vista di future elezioni, ma per dare una risposta a chi vede ogni giorno peggiorare le proprie condizioni di vita, diventare sempre più inadeguati stipendi e pensioni, la sanità pubblica andare sempre più in sofferenza, il proprio futuro divenire incerto e insicuro. E non da oggi e non solo per conseguenza delle scelte dell’attuale governo.
In Italia, dopo la sconfitta del 2022, la sinistra ha scelto una strada identitaria. È comprensibile, e in parte è stata una scelta quasi obbligata per costruire un’opposizione in Parlamento e non solo. Ma non basta. Non può bastare per voltare pagina.
La politica identitaria conferma i giudizi, le simpatie, le antipatie, gli entusiasmi e persino i pregiudizi del proprio elettorato. E proprio per questo riesce a mobilitare, galvanizzare, riaccendere entusiasmi. Ma è un percorso minoritario, che rinuncia a convincere e a coinvolgere anche chi proviene da altre culture, da altre esperienze. Che ci isola nelle nostre certezze mentre il mondo intorno cambia, a volte troppo velocemente.
Abbiamo visto leader come Jeremy Corbyn, Alexis Tsipras, Jean-Luc Mélenchon scegliere sostanzialmente questa via. Proposte tra loro diverse, ma accomunate da una leadership che si limita a parlare in modo convincente solo a una parte del proprio popolo, facendo appello a orgoglio e coerenza, ma restando confinata nel proprio perimetro, senza riuscire ad allargare lo sguardo.
Serve invece il coraggio di indossare nuovi occhiali, di proporre una visione chiara del presente e del futuro dell’Italia. Che offra ai cittadini la possibilità di sceglierla non solo per radici e idealità, ma soprattutto per le risposte concrete e innovative che è in grado di dare ai problemi e alle tante questioni aperte.
Perché la proposta identitaria diventa debole e ambigua nel confronto con la realtà, quando le scelte richiedono posizioni chiare e la determinazione ad assumersene la responsabilità. Lo vediamo già oggi all’opposizione, su molti temi le posizioni sono elusive e con lo sguardo rivolto al passato: dall’Ucraina alla giustizia, dal lavoro allo sviluppo economico, passando per il cambiamento climatico e per le politiche migratorie. Come si può pensare che l’ambiguità non si riproponga, amplificata, in un’esperienza di governo?
L’obiettivo non può essere solo «mandare a casa» l’avversario, ma rilanciare un Paese fermo da anni. Dove non funzionano più (o funzionano sempre meno) tanto lo stato sociale quanto il mercato, dove gli stipendi sono fermi da trent’anni e la competitività delle nostre aziende ha bisogno di forti iniezioni di innovazione per tornare e rimanere al livello europeo, dove una larga parte dell’economia è strutturalmente sommersa, dove incrostazioni corporative, regalie, bonus bloccano non solo la concorrenza, ma il futuro. E allora va costruita una sfida nuova, guardando anche ai percorsi coraggiosi e vincenti intrapresi in Europa da Pedro Sánchez, Keir Starmer e Raphaël Glucksmann.
È il momento di scegliere. Di alzare lo sguardo e di mettere al centro del nostro discorso politico non solo le ragioni che ci hanno portato fin qui, ma anche quelle che ci porteranno avanti. Di uscire dalle nebbie della nostalgia e di abbracciare il coraggio di un futuro che dobbiamo ancora costruire. Siamo a un bivio, e la direzione che sceglieremo determinerà non solo il cammino di una parte politica, ma il futuro di milioni di italiani.
Non è solo una questione di vittoria elettorale. È una questione di giustizia, di progresso, di umanità. Di fronte a una destra che si nutre di divisioni e paure, il nostro compito è più alto: unire, trasformare, costruire. Al lavoro, dunque. Perché il futuro non aspetta.
*Tomaso Greco è editore e co-fondatore di Adesso!