Il federale e’ un film di Luciano Salce del 1961. Primo Arcovazzi, fascista della milizia, deve arrestare un noto filosofo da sempre oppositore del regime, il professor Bonafè: il film racconta in chiave satirica il rapporto tra i due personaggi, l’odissea che compiono attraverso l’Italia occupata del 1944 per giungere a Roma e l’amicizia che si stabilisce tra loro nonostante le differenze ideologiche. A Roma Arcovazzi sfila con la divisa di federale ma la città è stata liberata dagli alleati e la popolazione, dopo tanto malcontento, si sfoga aggredendolo. È il buon professor Bonafè a salvarlo. Siamo nel 1944 e in un’Italia con le case e i muretti già distrutti e una situazione ambigua, in attesa della fine della guerra, c’è ancora chi farebbe qualsiasi cosa per un’onorificenza: tra questi il graduato fascista Primo Arcovazzi, sicuro di sé, austero, disciplinato e “schiavo” del partito, che per conseguire il grado di federale è disposto a seguire la condizione concessagli dai superiori, ovvero condurre a Roma come prigioniero di guerra l’importante oppositore del regime e intellettuale Erminio Bonafé.
Quelli sono peggio di noi.
Non hanno picchiato te, ma la tua divisa.
Sì, ma nella divisa c’ero io!
Dialogo tra Primo Arcovazzi (Ugo Tognazzi) – Il professor Erminio Bonafé (Georges Wilson)
Il film di Salce e’ importante perche’ consente di capire la natura dei graduati schiavi di partito e distinguerli dai gerarchi. Gli schiavi erano stati plagiati (erano adulti ma rimasti bambini) e molto spesso sono finiti ammazzati. I gerarchi (adulti o bambini) erano furbi, si erano arricchiti e si sono riconvertiti dopo l’arrivo degli americani. Tutti i giudici italiani della nostra Repubblica si sono avvalsi della pacificazione nazionale voluta da Togliatti col decreto del 22 giugno 1946 e quindi abbiamo avuto il paradosso che le leggi democratiche sono state applicate da fascisti travestiti da ermellini o in toga.
Lo stesso e’ avvenuto in Germania con Hitler. I nazisti schiavi (tipo il ministro della propaganda Goebbels) sono morti dietro il furher, i furbi straricchi si sono messi in salvo vivendo sino a cent’anni e godendo i proventi di una carriera criminale. Nell’autunno del 1945 a Norimberga inizio’ il primo dei due processi che ha portato alla sbarra 24 gerarchi nazisti. All’appello mancavano però almeno una cinquantina di “pezzi grossi” del Reich, da Eichmann, a Mengele, a Priebke: che fine avevano fatto? Chi li proteggeva?
E’ stato ricostruito oggi lo schema della rete di contatti che ha permesso loro di rifarsi una vita (in alcuni casi senza mai pagare per i crimini commessi): la cosiddetta rats line (la linea dei topi), come la chiamarono i servizi segreti americani.
Il giornalista e storico argentino Uki Goñi ha pubblicato un libro intitolato “Operazione Odessa” (tradotto in italiano da Garzanti) in cui suggerisce che il Vaticano abbia avuto un ruolo attivo nella copertura dei gerarchi nazisti in fuga e che sia soprattutto questo il motivo per cui i paesi disposti ad accogliere i nazisti furono quelli del Sudamerica. Goñi descrive e documenta riunioni a questo scopo alla Casa Rosada, la sede della presidenza argentina; l’invio di agenti in Europa per agevolare l’espatrio; il passaggio in Svizzera; i documenti di identità forniti dal Vaticano per ottenere il lascia passare della Croce Rossa e la partenza dal porto di Genova. Le sue ricostruzioni hanno portato all’apertura di numerose inchieste, sono condivise da altri storici e supportate da un’ampia documentazione.
La teoria di Goñi è che molti stati del Sudamerica fossero asili predisposti per la fuga dei nazisti ancor prima che la guerra finisse: stati neutrali, a maggioranza cattolica e guidati in molti casi (Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay) da governi filo-nazisti. Inoltre, soprattutto in Argentina, era presente un’ampia comunità di emigrati provenienti proprio dalla Germania. Gli itinerari principali della fuga erano tre: il primo partiva da Monaco di Baviera e si collegava a Salisburgo per arrivare a Madrid; gli altri due partivano da Monaco e, passando da Strasburgo o attraverso il Tirolo, arrivavano a Genova, dove i gerarchi potevano imbarcarsi con l’aiuto del clero verso l’Egitto, il Libano, la Siria e, soprattutto, il Sudamerica.
A sostegno di questa tesi ci sono anche le storie dei ritrovamenti e dei processi più celebri: per esempio quello di Adolf Eichmann, il colonnello delle SS che ideò la cosiddetta “soluzione finale”, cioè lo sterminio nei campi di concentramento di sei milioni di ebrei. Eichmann entrò in Argentina nel 1950 con un passaporto falso rilasciato dalla Croce Rossa a nome “Ricardo Klement”: riuscì a portare con sé la famiglia ed entrò a lavorare negli stabilimenti della Mercedes vicino a Buenos Aires. Venne catturato dai servizi segreti israeliani nel maggio del 1960, condannato a morte e ucciso a Gerusalemme. Josef Mengele, responsabile del programma di eugenetica del regime di Adolf Hitler, viaggiò tra Argentina, Uruguay, Paraguay e, infine, Brasile. Walter Kutschmann, ex capo della Gestapo in Polonia, e Josef Schwammberger, ex comandante delle SS, sono stati catturati sempre in Argentina.
Eichmann durante il processo si difese dicendo di essere un “grigio burocrate che eseguiva solamente gli ordini dei gerarchi importanti”. Hannah Arendt, storica e filosofa tedesca, nel suo libro più famoso, ‘La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme’ ne diede un ritratto tanto terribile quanto efficace:
“Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza d’idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo. E se questo è «banale» e anche grottesco, se con tutta la nostra buona volontà non riusciamo a scoprire in lui una profondità diabolica o demoniaca, ciò non vuol dire che la sua situazione e il suo atteggiamento fossero comuni. Quella mancanza d’idee può essere molto più pericolosa di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria”.
Eichmann fu certamente uno dei tanti. Visitando Auschwitz, una delle cose che colpisce maggiormente è la contabilità dello sterminio, cosa che, insieme alle cifre, fa della Shoah un unicum. I nazisti appuntavano tutto: data di arrivo, luogo di provenienza, età e data di morte. Leggere nei registri che difficilmente si sopravviveva più di quattro mesi e che l’80% degli internati morivano di fame e di stenti, vedere i loro oggetti catalogati e conservati, dalle valigie agli occhiali, rende meglio di molte teorie cosa sia stata la banalità del male.
Cosa intendo dire dopo questo excursus storico? Che parlando di fascismo e nazismo non bisogna mai confondere dentro il comune contenitore della “banalita’ del male” i Primo Arcovazzi del film di Salce con i gerarchi fascisti camuffatisi nella Prima Repubblica, ne’, passando al nazismo, Adolf Eichmann con Joseph Goebbels, ministro della propaganda del terzo reich, il quale l’1 maggio 1945 si suicidò insieme alla moglie e ai sei figli nel bunker di Berlino. Con la sua morte e quella di Adolf Hitler ebbe fine il partito nazista, ma i “grigi burocrati” sopravvissero al proprio Furher perche’ la ratline dei gerarchi era stata preparata in tempo.
I grigi burocrati sono sempre il male assoluto in ogni epoca ma in ogni caso e in ogni epoca l’umanita’ deve solo stare attenta ai pifferai magici che di tanto in tanto appaiono nei nostri paesi. Spiegatelo a Schlein, se ci riuscite.
I fratelli Grimm hanno spiegato a tutti con una favola meravigliosa la questione della linea dei topi. Un giorno si presentò alle porte del municipio di Hamelin un piccolo ometto che disse al sindaco: “Io vi libererò dai topi che infestano la vostra citta’, ma voglio mille monete d’oro”. Suonando il suo zufolo, porto’ a morire nel fiume tutti i topi. “E tu vorresti mille monete d’oro per aver suonato lo zufolo?” gli disse il sindaco. “Da me non avrai proprio niente, cialtrone che non sei altro”. L’omino fu cacciato dal municipio e anche gli altri abitanti della città lo presero a male parole. L’ometto preparo’ la sua vendetta. Riprese a suonare lo zufolo e proprio come era successo ai topi, tutti i bambini della città vennero incantati dal suono dello zufolo magico del pifferaio e lo seguirono correndo e saltellando.
I loro genitori cercarono di fermarli, ma non ci fu niente da fare: i bambini uscirono dalla città. Il pifferaio camminò suonando fino alle montagne; poi, fece entrare tutti i bambini in una grotta e sigillò l’ingresso con una pietra. Da quel giorno, i bambini non sono mai tornati in città e nessuno sa che fine abbiano fatto. Solo un piccolo rimase fuori dalla grotta: era zoppo e si era fermato nel bosco, esausto.
Solo i diversi possono resistere al pifferaio magico. Ma non confondete mai topi e ingenui, adulti o bambini che siano.