Lo spazio, grande o minimo, del Terzo Polo. Il compito storico dei riformisti italiani

Da quando avevo i pantaloni corti, anni sessanta, mi tocca leggere di tanto in tanto la fatidica domanda: Dove sono le famose praterie fuori dai poli? Perché il terzo polo riformista non ha raggiunto un consenso dignitoso?
Nella politica italiana tutti i tentativi di creare un’area riformista autonoma dai comunisti e dalla destra sono falliti, eppure ci hanno provato ben prima di Renzi e Calenda le migliori menti del riformismo italiano e del liberalsocialismo. Da Guido Calogero (nella foto) al Partito d’Azione e  di Giustizia e Liberta’ passando per tutti gli indipendenti di sinistra o il partito dei sindaci che in varie stagioni si sono avvicendati sul proscenio.

Anche quando grazie a Dio le ideologie sono collassate non e’ mai scoccato in Italia il tempo del riformismo anche perche’ ad un certo punto tutti noi abbiamo pensato che la soluzione fosse nel maggioritario, sia pure in versione Mattarellum, e che il problema dei governi instabili e della frammentazione politica risiedesse nel sistema proporzionale.

Quando avevo i pantaloni corti c’era il repubblicano La Malfa che per decenni ha fatto politica privilegiando i contenuti e il programma sugli schieramenti. Una posizione che solo in Italia e’ stata e viene considerata equilibrista perche’ le curve, i tifosi, gli ideologhi di destra e sinistra, impongono sempre la scelta “o di qua o di la’”.

La politica del “contro” (il nemico) piuttosto che “la politica per”.

Oggi, 2024, tutte le persone ragionevoli non solo italiane hanno ben chiaro che alcune questioni non sono ne’ di destra ne’ di sinistra, come per esempio tenere i conti pubblici a posto. Come ha scritto Sabino Cassese, ormai in Italia e’ chiaro a tutti che un debito alto è anche collegato alla breve durata dei governi, perché esecutivi che sanno di poter contare su un anno e mezzo di vita non si interessano di ridurre il debito.

Inoltre tutte le persone di buon senso sanno che i nostri problemi non possono essere lasciati in mano ai demagoghi che in qualsiasi epoca e luogo semplificano tutte le questioni lanciando slogan semplici per ammaliare le masse. E’ troppo facile invocare la Pace, e non distinguere tra aggredito e aggressore; e’ troppo facile buttare la palla fuori campo invocando mere petizioni di principio: “non sono ne’ per Trump ne’ per Harris perche’ rispetto le decisioni del popolo americano”. E’ fin troppo facile proporre la politica del “ma anche”: sono per contenere il debito pubblico ma anche per il Superbonus 110%.

In Italia abbiamo da sempre scelte fondamentali da fare come Paese, soprattutto dopo la caduta del Muro e il venir meno dell’impero sovietico. La prima scelta e’ quella a favore dell’occidente e dei suoi valori basati sullo stato di diritto, quindi l’Italia non puo’ sullo scacchiere internazionale ambire ad essere neutrale come la Svizzera, oppure ispirarsi ad Orbán ed Erdoğan, ovvero agli adepti di quello che viene definito “illiberalismo”, una democrazia autoritaria. Ungheria e Turchia, pur stando dentro la Nato, hanno leader appartenenti alla categoria degli “uomini forti” che è tornata ad affermarsi in tutti i continenti. Essi sono entrambi alla guida di vecchi imperi che si considerano maltrattati dalla storia e cercano di ritrovare un’influenza all’altezza della loro gloria passata.
Questi pochi cenni bastano per far capire come anche in Italia e’ evidente ci sia una destra che ambisce a superare il fascismo mussoliniano nell’illiberalismo turco-ungherese. Pertanto la sinistra occorra che sia ben ancorata al campo americano e che non sia anticapitalista, dal momento che finora l’umanita’ non ha saputo inventare un altro sistema economico in grado come il capitalismo di togliere dalla poverta’ masse sterminate di persone.

Questa scelta di campo che rappresenta una cesura netta rispetto al mondo bipolare in cui siamo cresciuti, all’Urss come alternativa al capitalismo o anche a tutte le terze vie cercate in giro per il mondo (da Cuba al Portogallo a Maduro) per rinvenire modelli inediti che coniugassero sviluppo economico e giustizia sociale, ha bisogno di confermare la grande lezione di uno studioso come Giovanni Sartori. Egli ci ricordava che mentre il pluralismo è il sale della democrazia, il cosiddetto «multicultu-ralismo» (che divide la società in tante sotto- società chiuse e non comunicanti) ne è invece la negazione. Una sinistra che non si batta il petto, che non esterni sempre ridicoli e anti-storici rimorsi per le presunte colpe dell’Occidente, afferma cosi’ il rispetto reciproco fra persone di diversa storia e provenienza, senza indulgere a quell’aberrazione che è la cancel culture, con la sua ostilità nei confronti della cultura occidentale, e che, nata nel mondo anglosassone nell’ambito delle istituzioni educative, si sta diffondendo in tutto l’Occidente.

Questa precisa scelta occidentale e capitalista, fuori dalle sirene terzomondiste e multiculturali, rappresenta la scelta di fondo per le forze riformiste che in politica interna privilegiano sempre la soluzione di questioni concrete e il loro programma non cambia a seconda se si stia al governo o all’opposizione.

Il messaggio riformista infatti e’ chiaro verso gli elettori, noi proponiamo soluzioni per il bene del paese, non per vincere le elezioni piu’ vicine. I riformisti guardano lontano.
Cioo’ detto, resta la questione dalla quale siamo partiti, i liberalsocialisti, i liberal, i riformisti, in Italia devono costruire la loro piccola tenda (costituire il loro terzo polo indipendente da destra e sinistra) oppure devono prendere posto nella grande tenda delle forze di sinistra?
A questa domanda e’ possibile rispondere prima che analizzando tutti i tentativi elettorali falliti dalla prima repubblica ad oggi piuttosto che le mosse di Renzi, Calenda o Marattin, solo considerando che riformisti vi sono sia nel pd che in Forza Italia, sia nel M5S che in altre formazioni e associazioni.
Per cui senza prendersela con il destino cinico e baro che non aiuterebbe a spiegare una storia lunga e tormentata, i riformisti dovrebbero smetterla di tentare di alzare la loro tenda e dovrebbero dedicarsi piuttosto a unire tutti i riformisti per far prevalere i loro orientamenti. In maniera semplice io penso che dentro e fuori il pd occorre contribuire a convincere quante piu’ persone possibili della giustezza di queste tesi. Per egemonizzare il pd, certamente, dove altrimenti il rischio concreto e’ che la segreteria sia l’alter ego o una versione riveduta e corretta di Giuseppe Conte (il bipopulismo); ma anche per orientare giorno per giorno l’opinione pubblica sulle questioni concrete che si pongono, sia la legge elettorale o l’autonomia differenziata, la sanita’ o la scuola, la legge finanziaria o il Pnrr.
Insomma, preso atto che la tenda dei riformisti non e’ stato possibile alzarla fuori dai due poli, occorre guardare al pd e alla sua guida, senza bisogno di entrarvi dentro come obbligo o necessita’. Dentro il pd vi sono molti riformisti che vanno aiutati nella societa’ ad essere sempre piu’ autorevoli e forti sconfiggendo anticapitalisti, estremisti, putiniani e fintopacifisti che intendono guidare il pd e imporre le loro scelte scellerate che da piu’ di 70 anni si rivelano velleitarie.
Difficile dire, come ha scritto Mario Lavia, se le mitiche praterie riformiste esistano per davvero. È probabile che più che praterie siano delle radure circoscritte.

Insomma: i riformisti non sono in grado di stare da soli, per ragioni che sono davvero radicate nella storia italiana, ma forse questo “isolazionismo” nemmeno è il loro compito storico, che piuttosto pare quello di compensare, e semmai sconfiggere dall’interno, le punte estremistiche del centrosinistra (l’unico campo in cui i riformisti possono stare, giacché il tasso di riformismo in questa destra tende allo zero).
Da tutto questo discorso, e lo dico per ultimo, ma forse dovrebbe essere il primo punto, si evince che le forze riformiste di questo nostro paese ambiscono e lottano per stare al governo. Chi riformista non e’ ama infatti soltanto la via piu’ comoda, stare sempre all’opposizione, dire sempre a tutto no, in attesa di una palingenesi che una volta era la “rivoluzione proletaria” e adesso non si bene cosa dovrebbe essere, anche se ai proletari cambiamo nome e li chiamiamo “sfruttati”, “ultimi”, “dannati”, “masse impoverite”.

Riassumendo, i liberalsocialisti vogliono:

A) stare al governo, non stare sempre e solo all’opposizione

B) una politica “Per’, non amano la “politica contro” il nemico di giornata

C) essere alleati con gli Usa

D) il sistema economico capitalista e lo Stato sociale

E) uno Stato di diritto che tuteli le liberta’ individuali e personali