La deriva immorale della sinistra che un tempo era anti imperialista, e ora rossobruna

I titolisti del Manifesto, eredi di una tradizione gloriosa, stanno toppando alla grande. Non si tratta di errori giornalistici, ma di orrori morali. Ieri la fotonotizia con l’immagine di Volodymyr Zelensky era sormontata dal titolone “Il gattopardo”. A parte la cialtronata di non mettere la maiuscola visto che è chiaro che volevano riferirsi al principe di Salina, cioè al “Gattopardo”, la vergogna sta proprio nel concetto. Il riferimento, esplicitato nel sommario, era alla sostituzione di diversi ministri del governo ucraino, fatto sul quale è molto difficile farsi opinioni chiare.

Anna Zafesova, una che sa di cosa parla, sulla Stampa ha spiegato che ci sono diverse chiavi di lettura per spiegare questi cambi nel governo, ivi compresa quella di un rafforzamento del potere del presidente ucraino in una fase delicatissima. Come dargli torto. Invece agli ultimi comunisti rimasti ancora nella giungla terzinternazionalista deve apparire come un “rimpasto” manco si trattasse di Mastella, un’operazione di regime per conservare il potere del “gattopardo”, cioè Zelensky, uno che secondo loro pensa che bisogna cambiare tutto perché nulla cambi.

Che corbelleria: si sta parlando di un uomo che da due anni e mezzo guida il suo popolo nella Resistenza all’“operazione speciale” decretata da quel Cremlino che ancora oggi scalda qualche cuore nel giornale di Luigi Pintor, pace all’anima sua, che fondò il Manifesto esattamente contro l’imperialismo sovietico mentre questi nipotini stanno, senza dirlo, con quello di Vladimir Putin.

Già, al “quotidiano comunista” odiano gli ucraini, l’esercito di Kyjiv, Zelensky. Ritengono che in questa tragedia l’Ucraina abbia sostanzialmente torto. È il sentimento che in una certa sinistra orfana del Muro si allarga sempre più come una piovra che arriva a allungare i suoi tentacoli velenosi fino al Partito democratico, complice anche l’afasia del gruppo dirigente ieri finalmente rimbeccato da Lorenzo Guerini, seppure solo indirettamente (mentre invece ci sarebbe da chiedere almeno una riunione della Direzione per chiedere a Elly Schlein se il Partito democratico è ancora a fianco di Kyjiv e fino a che punto). D’altra parte i comunisti sono andati forte in Turingia, e in mezza Europa vanno saldando le proprie posizioni filoputiniane a quelle della destra estrema mettendo a dura prova la solidarietà democratica e anti-imperialista che si era costruita dopo l’attacco russo.

La linea degli autoproclamati comunisti è riassunta nell’editoriale di Tommaso Di Francesco a sostegno del titolo sul “gattopardo”. La tesi è semplice, quasi infantile: più l’Ucraina attacca (Kursk) più la Russia reagisce (Poltava); più armi si inviano a Kyjiv più Putin risponde: «La situazione sul campo è ancora per poco di stallo e se non vogliamo che Putin vinca e che Kyjiv sia sconfitta basta con l’invio di armi che vuol dire più morti e più odio».

E quindi? Quindi tutti a casa, è la sostanziale risposta, perché è chiaro che senza armi non c’è che la resa. La resa degli altri. È esattamente la linea di Vladimir Putin, Viktor Orbán, Matteo Salvini. È la strategia del Cremlino che in continuità con l’Ottobre muove ancora una volta contro l’Occidente, il capitalismo, la democrazia, lo Stato di diritto, le regole, il benessere, la civiltà, la società aperta, in nome di un primato “orientale”, autocratico, bellicista, imperialista.

I rampolli del comunismo oggi come ai tempi dei loro bisnonni ce l’hanno con i democratici, i liberali, i riformisti perché essi sono l’argine all’“operazione militare speciale” che altro non è se non il tentativo di sfondamento non solo militare ma politico e (im)morale del nostro mondo. Altro che “gattopardo”, l’eroico Zelensky. La deriva immorale di questa sinistra non conosce limiti, simbolo tragico degli sconfitti dalla Storia.