Ma il punto non sono le minoranze di qualità, sono le maggioranze condannate alla mediocrità da un andazzo che ha portato molti operatori del settore a smarrire il senso della loro professione. Se la scuola è percepita come un erogatore di stipendi al servizio di chi ci lavora anziché dell’utenza, se la qualità dell’insegnamento non interessa ai più (nemmeno a tanti genitori), se l’insegnante di valore riceve lo stesso stipendio dell’inetto, se una promozione non si nega quasi a nessuno (per i ricorsi e per l’ideologia imperante secondo cui anche un semi-analfabeta ha diritto a un pezzo di carta dotato di valore legale) il risultato è «La fabbrica dei voti finti»: eloquente titolo di un libro sulla scuola di un ex insegnante, Francesco Scoppetta (Armando Editore, 2017).
(Angelo Panebianco, Corsera, 6/8/2019)
Trascorsi quasi dieci anni da quando scrissi un libro, “La fabbrica dei voti finti”, sulla mia esperienza di preside in un istituto superiore, qualcuno mi chiede di tanto in tanto se in questo lasso di tempo sono intervenute novita’. La mia risposta e’ sempre la stessa: il mio libro concerneva le scuole superiori, che hanno problematiche ben diverse rispetto a scuola primaria e scuola media. Nell’arco di tempo di 10 anni pur con avvicendarsi di ministri diversi e di diverso orientamento politico (Giannini, Fedeli, Bussetti, Fioramonti, Azzolina, Bianchi e Valditara) nulla e’ cambiato circa lo svolgimento delle lezioni. Sui ministri una vecchia vignetta di Ellekappa e’ ancora perfetta. Due personaggi. Uno dice: «L’Italia avrebbe bisogno di una classe dirigente più colta, preparata e tollerante». L’altro domanda: «Per rappresentare chi?».
Solo i test Invalsi rappresentano una novita’ importante ormai sedimentata mentre la valutazione dei dirigenti con l’autovalutazione era un processo (ora bloccato) promettente nella misura in cui introduceva nelle scuole una riflessione collettiva su cio’ che si fa in maniera ordinaria e spontanea mettendolo in relazione con i dati oggettivi in termini di risultati e apprendimenti.
Resta, a mio parere, sul terreno il problema maggiore a cui facevo riferimento nel mio libro per le scuole superiori: la tacita intesa docenti/studenti che meno si va a scuola meglio e’ per tutti. Accordo in contrasto con l’obbligo di legge ancora esistente circa i 200 giorni di lezione annui di cui e’ composto l’anno scolastico. Sarebbe interessante, tra tanti numeri che la Cgia di Mestre e l’Istat e istituti specializzati ci inoltrano ogni anno se qualcuno calcolasse le ore effettive di lezione fatti al Nord al Sud e al centro nelle scuole superiori.
Infatti da diverso tempo e’ stato sancito il monte-ore annuo e anche il limite minimo di presenze per essere scrutinati e quindi non si deve ragionare piu’ in termini di 200 giorni obbligatori all’anno, ma di ore. In un liceo classico nel triennio leggo che sono obbligatorie 1.023 ore (31 x 33 settimane) e pertanto il limite minimo di presenze è di 767 ore. 32 sono le ore settimanali di un ITE per un totale di 1056 ore annue e un limite minimo di presenze di 792 ore (il 70%). Ovvero 264 ore di assenze consentite.
Ecco, pur in presenza di tali regole, di fatto ritengo che sfugga completamente e colpevolmente la situazione reale. Mettiamola cosi’, per capirci subito: se uno studente deve fare 32 ore settimanali di lezioni per 33 settimane, qualcuno prima o poi dovra’ fare i calcoli per avere contezza della situazione. Nel calcolo totale vanno tolte tutte le ore perse per: assemblee studentesche e sindacali, scioperi, occupazioni, riscaldamenti non funzionanti, troppo caldo, festa del patrono, convegni, assenze dei docenti, e ogni altro motivo. Invece la furbizia italica si manifesta se sulla carta si scrive che il monte ore annuo di lezioni deve essere 1056 (che, come ho sempre detto, e’ come dire che per fare un bambino occorrono 9 mesi); pero’ 264 ore di assenza (per malattia, ad esempio) sono consentite, e ad esse si sommano tutte le altre per cause diverse che ho elencato sopra. Con il risultato finale che uno studente di un ITE (parlo di scuole superiori) facendo bene i calcoli e non a vanvera, in un anno segue poco piu’ che 500 ore di lezione. Il mio e’ un numero ipotetico e opinabile ma torno a dire che la cosa piu’ scandalosa di tutte e’ che siamo al 2024 e non c’e’ ancora un solo istituto di ricerca che sforni un dato preciso basato su precise rilevazioni. Posso sbagliarmi, certo che si’, ma sono sicuro che nella scuola superiore che io chiamo “reale” per distinguerla da quella “raccontata” sui giornali, il primo problema e’ ormai da tantissimi anni una riduzione effettiva e consistente del numero delle ore di lezione.
Poi occorre intendersi su cio’ che si fa nell’ora di lezione. Tradizionalmente la lezione consisteva nella presenza in classe di un docente che insegnava, spiegando e interrogando, una materia. Oggi la presenza delle Uda (Unita’ d’ apprendimento) e dei progetti ha cambiato profondamente la didattica per cui, a macchia di leopardo, le lezioni sono svolte nelle scuole superiori italiane in modi e maniere molto diverse. Non solo per la presenza di strumenti tecnologici (Lim, tablet, laboratori) ma per compresenze tra docenti, assistenti tecnici, esperti vari, e infine per svariate innovazioni metodologiche/didattiche (classe capovolta, debate, peer to peer, interdisciplinarieta’) che aiutano gli studenti a sviluppare competenze trasversali come la capacità di risolvere problemi, il pensiero critico e la creatività. Tralascio nel discorso tutti i piani personalizzati che sono stati introdotti per fronteggiare non solo handicap ma ormai per assistere gli alunni Bes, con la presenza o meno degli insegnanti di sostegno (piu’ della meta’ non specializzati).
Nelle scuole superiori italiane dunque tutti procedono a “mosca cieca’ e ogni operatore ragiona sulla base di semplici sensazioni. Le uniche rilevazioni oggettive essendo quelle Invalsi, tutti sappiamo che la differenza di apprendimenti (ancor prima dell’autonomia differenziata) tra scuole del nord e del centro-sud e’ rilevante nonostante i tanti 100 e lode alla maturita’ nelle scuole meridionali confermi appieno la fabbrica dei voti finti che e’ la premessa dalla quale siamo partiti.
La scuola superiore italiana con una effettiva riduzione delle ore di lezione complessive funziona male, a mio parere, perche’ esiste in maniera oggettiva un legame che andrebbe spezzato tra desideri dei docenti e desideri degli alunni: i docenti sanno che sono gli alunni a potere esaudire il loro desiderio, e viceversa. Questo desiderio consiste nel lavorare il meno possibile, o meglio, di incontrarsi e vedersi il meno possibile. Lo studente meno va a scuola meglio si sente; il docente meno sta a scuola meglio si realizza, per cui e’ questa convergenza, unita’ di intenti, che spiega il funzionamento della scuola superiore italiana.
Si usa dire che e’ venuto meno il patto educativo tra famiglie e docenti, il che e’ verissimo. Ma nel frattempo e’ nato e si e’ rinforzato quello tra docenti e alunni che meno si vedono meglio stanno.
Nelle scuole medie invece il problema non e’ dato dal numero di lezioni, cioe’ la presenza degli alunni (tranne abbandoni precoci) ancora si mantiene a livelli accettabili, per cui le problematiche esistenti sono di tutt’altro tipo. Non sono addentro alle questioni e quindi non intendo sollevarle, vorrei fare solo un accenno rapido al modo di funzionamento reale delle scuole medie meridionali. Prendiamo le Uda multisciplinari. Non ci sono scuole medie che non adoperino tali strumenti sui quali gli specialisti dottrinali insistono da lungo tempo. Ma siccome siamo in Italia dove fatta la legge trovato l’inganno, il modo di operare di diverse scuole medie meridionali e’ solo formale. Ogni scuola realizza ogni anno una unica e sola Uda per tutte le classi, alla quale, sulla carta, partecipano varie materie. Tali Uda cambiano nome ogni anno ma restano sempre le stesse e la fantasia italica fa davvero sfoggio di inventiva e della lezione del Gattopardo (cambiare tutto per non cambiare niente). L’Uda unica o di scuola che viene realizzata in tante scuole e’ soltanto una furbizia. Un semplice accessorio senza alcuna conseguenza sui voti che ciascun docente detta alla fine nello scrutinio finale. La scuola reale si rinviene sui social, non su Repubblica o Corriere della Sera: “Svolgo dei normalissimi argomenti didattici, o moduli, o sotto-moduli, come ho sempre fatto. E poi scrivo sui documenti (programmazione iniziale, oppure relazioni finali) che quella cosa che ho fatto o che ho intenzione di fare non si chiama “lezione”, o “serie di lezioni”, o “modulo”, o “sotto-modulo”… ma si chiama “unità di apprendimento”. Dopo di che, sono a posto. Gli argomenti li ho svolti davvero, li ho valutati davvero e gli alunni li hanno affrontati davvero, quindi di cosa dovrei avere paura?” Ecco un esempio di una normale e classica programmazione dove in pratica si sostituisce il termine “lezione” con “unità di apprendimento”, che quindi e’ solo una “maschera” .
L’insegnamento nelle scuole medie resta individuale e tradizionale, giusto con qualche slide in piu’, e dipende unicamente dall’insegnante. Alcuni insegnano ancora come se fossimo negli anni sessanta, altri sono sempre pronti a rimettere in discussione i loro metodi. Il programma, ancora imperante e stella polare di ogni docente, presenta difficolta’, per usare termini numerici, da 0 a 10, tant’e’ vero che ogni anno organizzare prove comuni parallele nelle stesse materie abbisogna di estenuanti mediazioni al ribasso.
Mi fermo qui, perche’ il mio discorso, che e’ partito da pezzi di carta con dei numeri finti sopra che chiamiamo titoli di studio, intende soltanto far riflettere che quanto meno una istituzione dovrebbe stabilire quanti devono essere le ore effettive e obbligatorie di lezione che gli studenti devono seguire in un anno scolastico.
Noi, dopo internet, vorremmo essere curati sempre senza andare dal medico a fare una visita, ottenere certificati senza andare al comune, pagare senza dover andare in banca, istruirci senza andare a scuola. Il docente, che medico non e’, ha un ruolo e anche uno status se incontra e dialoga con l’allievo per un tempo necessario. Ma forse, come e’ gia’ avvenuto con le universita’, anche per le scuole superiori si vuole che si affermi l’insegnamento on line a distanza. Se a questo dobbiamo arrivare, il mio auspicio e’ che la valutazione finale sia sottratta al docente di classe e affidata a questionari oggettivi gestiti da autorita’ indipendenti dalla scuola e dal ministero (come avviene in Gran Bretagna).