Il dibattito sulla legge di Bilancio 2025 è già iniziato. Entrerà ancora più nel vivo al momento della presentazione in Europa delle politiche che da qui a 7 anni dovranno portarci su un percorso di riduzione del debito senza comprimere la già anemica crescita. Guideranno i numeri. Le risorse saranno sempre poche. Mentre le richieste saranno sempre molte. Saranno rifinanziati bonus, tagli, agevolazioni. Ancora una volta saremo spinti a dividerci sulle cifre invece che sulle riforme da fare. Un esempio per tutti: cosa significa tagliare le tasse, mentre l’Irpef è diventata ormai l’imposta pagata di fatto solo da dipendenti e pensionati? Un esempio che rivela anche un’illusione. Quella che il bilancio sia lo strumento più potente per esprimere politiche di sviluppo. Alcune evidenze fanno pensare il contrario. Ai corsi di formazione lavoro hanno partecipato finora poco meno di 100 mila «occupabili» per una spesa di 100 milioni sul miliardo e mezzo preventivato.
Un risultato deludente che non è figlio di un cattivo provvedimento: sembra dovuto al pensiero, spesso presente nella classe politica, che simili misure possano auto-applicarsi. Trascurando che, invece, bisogna sempre fare i conti con amministrazioni e corpi sociali che quelle misure dovranno adottare. Servirebbe cioè un approccio sistemico. E bipartisan. Parola poco in voga di questi tempi, purtroppo. Che cosa vuol dire davvero approccio sistemico e bipartisan? L’analisi della situazione che qualsiasi governo dovrebbe fare, indipendentemente dal fatto di voler attuare politiche conservatrici o progressiste.
Qualsiasi governo è condannato all’insuccesso se amministra un Paese dove la scuola inizia con 250 mila supplenti, su un totale di meno di 700 mila insegnanti. Non è un problema che abbia a che fare con chissà quali strategie sulla formazione e l’istruzione ma con l’essere uno Stato che funziona. L’avere meccanismi collaudati, non ha colorazione politica. Forse è per questo che nessun esecutivo se ne occupa?