Antonio Milano, scomparso dopo una breve malattia, è stato un insegnante finissimo, cultore di latino e greco, e poi un uomo dalla cultura vastissima che coltivava sulla base di interessi molteplici, penso alla musica e ai mille organetti che possedeva. La sua intelligenza prodigiosa gli avrebbe consentito, questo ho sempre pensato di lui, di esprimersi attraverso l’arte, ma è stato sempre come fermato da una forma di ritegno e dal non volersi mai prendere sul serio. Non so se l’abbia mai fatto, ma se avesse deciso di misurarsi, chessò, con la pittura o la scultura, sarebbe stato un grande pittore o scultore. Il ricordo più intenso che ho avuto di lui in tutti questi anni è stato uno solo, ciò che mi disse in una telefonata. Essendo coetanei, ci siamo iscritti all’università lo stesso anno, il 1969, e lui mi aveva preceduto a Firenze di qualche giorno. Appena arrivai anch’io a Firenze, da una pensione lo chiamai al telefono, visibilmente ansioso per questa nuova avventura. Lui mi rispose e mi tranquillizzò. Mi descrisse quel che aveva fatto e visto in quei pochi giorni e mi sollevò, dai, vedrai che ce la faremo. Qui è bello e si sta bene. Io ho sempre pensato che se mi sono laureato lo devo a quella telefonata. Caro Antonio, dovunque tu sia, sono sicuro che starai bene.