Abbiamo letto con curiosità e attenzione il libro di Elly Schlein, di cui consigliamo la lettura, per capire qualcosa in più sulla leader del Pd, e alla fine della lettura, un po’ tramortiti, abbiamo fatto un esperimento fattuale, non sappiamo dire se malizioso o veritiero. Abbiamo provato a confrontare le priorità poste da Mario Draghi nella sua introduzione al report sulla competitività e le priorità suggerite da Elly Schlein nel suo volume edito da Feltrinelli, L’imprevista, e lo abbiamo fatto individuando le parole più usate da Draghi nell’introduzione del suo rapporto (circa 20 mila battute) e verificando quante volte Schlein abbia usato quelle parole nel suo testo.
Il primo test è stato positivo: Draghi usa la parola Europa diciassette volte e Schlein sedici, anche sul tema dei temi, il sottotesto cioè del rapporto Draghi, basta con l’unanimità in Unione europea, si capisce che la segretaria del Pd sia d’accordo con l’ex premier. Subito dopo però il tema Europa, che per Schlein è più o meno l’equivalente del tema a piacere degli esami universitari, iniziano i dolori. Gli imprevisti, come direbbe la segretaria.
Sulla crescita, per esempio. Nel rapporto Draghi, solo nell’introduzione, compare 13 volte. Nel lungo testo di Elly, compare solo cinque volte, e compare per le seguenti ragioni. Si parla di crescita, a pagina ottantatré, per parlare della “crescita di una nuova destra”. Si parla di crescita, a pagina centotré, per parlare “della crescita esponenziale” del M5s nel 2018. Si parla di crescita, a pagina 201, finalmente per questioni che riguardano l’economia, ma con un tratto critico, polemico, e se ne parla quando la segretaria del Pd dà ragione a Fabrizio Barca, e ho detto tutto, quando dice che “anni di impoverimento del ceto medio” si sono manifestati a causa del malcostume politico dei riformisti italiani che il ceto medio lo hanno “sacrificato sull’altare della crescita”. La quarta occasione in cui compare la parola crescita, nel libro di Elly, è quando la segretaria cita un articolo di Mario Ricciardi, in cui si afferma, con sicurezza estrema, che “le diseguaglianze non sono nient’altro che il prezzo da pagare all’illusione di una crescita senza limiti”. Infine, Schlein cita la crescita, nel suo libro, una quinta volta, in modo positivo, ma solo perché la crescita riguarda un dato positivo della traiettoria del suo partito: “La crescita delle iscrizioni, delle persone che hanno deciso di sostenerci con il due per mille”. Cinque volte, e mai in positivo. Per capirci: il tema del fascismo (fascismo, fascista, fascistoide), compare sette volte.
La seconda parola che compare con una certa insistenza nel rapporto Draghi è, naturalmente, la parola produttività, che solo nelle 20 mila battute di introduzione dell’ex premier, solo in quelle, compare addirittura dodici volte. Ci siamo chiesti dunque quante volte questa parola compaia nelle 238 pagine del libro di Schlein e la risposta è insieme logica, deprimente anche se non troppo imprevista: zero. Per capirci: la parola patriarcale compare otto volte.
La terza parola più presente nel rapporto Draghi, nella sua introduzione, è la parola investimenti, Draghi la usa dodici volte, sempre nelle sue 20 mila battute di introduzione, e Schlein la usa tre volte, in modo appropriato. Tecnologia: Draghi la usa undici volte, Schlein la usa zero volte, anche se in un’occasione, con un po’ di vendolese, affronta il tema tecnologico: “Serve una visione di paese alternativa, che non ha paura del futuro e mette l’innovazione tecnologica al servizio delle fragilità del paese”.
Altri zero: affrontato zero volte il tema della demografia (una volta si parla di natalità, in polemica con Meloni), affrontato zero volte il tema del garantismo (ma affrontato per sedici volte il tema della “giustizia sociale”), affrontato zero volte il tema della concorrenza senza un’accezione negativa (in una delle due occasioni si parla di “concorrenza sleale”), affrontato due volte il tema competitività (in un’occasione però Schlein parla di se stessa, a pagina 138, quando dice di se stessa, di ella, “alla competitività della ex ragazza di Occupy Pd non ci crede nessuno”).
La distanza tra il metodo Draghi e il metodo Elly appare essere sostanziale su molti aspetti, come d’altronde è naturale che sia essendo Schlein arrivata per guidare un Pd che cercava discontinuità dall’agenda Draghi, ma su tre punti la divaricazione appare non imprevista ma piuttosto pericolosa.
Il tema della produttività non compare nel libro di Elly ma neanche nel suo programma, nelle sue idee, nei suoi discorsi, e lo stesso vale per il tema della competitività, della concorrenza e per molti altri. Si potrebbe pensare dunque che leggere il libro di Schlein sia inutile, deprimente, e possa causare imprevisti effetti collaterali, ma sarebbe un errore crederlo. Il libro della segretaria del Pd è il perfetto manifesto di quello che rappresenta oggi la leadership del Pd. Non c’è un vero libro dei sogni, non ci sono idee forti, non ci sono istinti divisivi, non ci sono proposte di rottura, ma c’è un filo conduttore. Non far paura a nessuno, essere rassicurante, anche a costo di mordersi la lingua, con l’obiettivo di mettere l’elettore che non ha simpatia per Giorgia Meloni nella condizione di poter credere che Schlein possa essere non solo tutto e il contrario di tutto, sempre di grande tenda si tratta in fondo, ma la vera alternativa, la “leader di tutti”, non per quello che dice ma per quello che non dice.
Mordersi la lingua, dicendo poco, evitando anche di esprimere a volte le proprie opinioni, che spesso sono contro la storia del Pd, anche di quella recente, vedi il Jobs Act, per dirne una, e puntare tutto su una carta diversa, insieme politica e a-politica, ovvero la propria reputazione. Conta più quello che si è rispetto a quello che si fa. Conta l’essere percepita come la novità, conta l’essere percepita come l’alternativa, conta l’essere percepita come il punto di equilibrio tra i partiti che si trovano all’opposizione, conta l’essere percepita come una leader che non dà la possibilità a nessuno, o quasi, di potersi indignare con lei, semplicemente perché sui temi più divisivi, anche se questi sono temi cruciali, come l’economia, la crescita, la produttività, l’innovazione, la segretaria del Pd semplicemente non dice nulla o quasi e preferisce parlare di sé e far parlare di sé. Non conta il programma, o l’agenda, conta la reputazione, conta la formula con cui si protegge quella reputazione, e in fondo l’unica cosa che si capisce con chiarezza leggendo il libro di Schlein, e osservando la sua traiettoria, è che dire poco, o nulla, non dettare un’agenda, è tutto funzionale a stare lì, a bordo fiume, per raccogliere i naufraghi dell’opposizione.
Il libro di Schlein, da questo punto di vista, è sconsolante per tutti coloro che sognano di avere un Pd desideroso di usare la nuova agenda Draghi per creare un’alternativa al modello Meloni ma è rassicurante per tutti coloro che alla segretaria del Pd chiedono semplicemente di non dividere, di non dire molto, di non far capire su alcuni punti la propria posizione, nella consapevolezza che oggi ciò che si è, forse, conta di più di ciò che si fa, almeno quando si sta all’opposizione. Il segreto, se così lo si può definire, è lì: dire e non dire, alludere senza essere definitiva e rifugiarsi nella retorica antifascista per ricordare chi sta a destra e chi a sinistra, e sperare che in alternativa a un libro dei sogni gli elettori possano magicamente trasformare la biografia di una leader in quella della nazione.