Qualche anno fa nella scuola che dirigevo, in una riunione pubblica spiegavo agli assistenti amministrativi che loro ogni giorno maneggiavano “dati” e che ormai eravamo entrati nell’epoca in cui quei dati avevano assunto valore. Qualcuno era anche disposto a comprarli. Facevo l’esempio di tutti gli studenti con nome e cognome che non seguono le lezioni di religione. Mi scuso per la mia citazione, ma l’ho fatta per dire che finanche uno come me che non segue Facebook o Instagram e a mala pena conosce “excel”, si era già accorto dei rischi. Inoltre tutti ora abbiamo capito che se cerchi su Google un oggetto, per mesi ti troverai pubblicità su quegli oggetti, oppure scendi in un albergo scelto con Booking e sarai tempestato di altre offerte similari. Io stesso ho dovuto togliere i commenti dal blog perché appena scrivevo qualcosa sui grillini, si moltiplicavano i lettori e arrivavano commenti incomprensibili da mail indecifrabili. Ogni tecnologia digitale comporta una struttura di sorveglianza, per cui i nostri dialoghi social servono a creare un profilo psicologico, i nostri acquisti a identificarci come consumatori, le nostre ricerche a capire il nostro stato di salute. In una scuola, basta vedere i risultati del primo trimestre e capisci chi sono i bravi e chi gli asinelli. Magari questi ultimi li escluderai dalle selezioni di lavoro. Come scrive Roberto Cotroneo, un “mondo prima ha considerato i social network dei giochetti per ragazzini, poi ha cominciato a guardarci dentro e ha pensato che si potessero usare per rafforzare le proprie tesi e opinioni…si fabbricano prodotti, si mettono a punto campagne elettorali, si scrivono libri o si girano film parametrati al numero di like che si vorrebbero avere. Si tratta di un capovolgimento che in politica accentua il populismo e in tutte le altre attività porta a una semplificazione continua e distorta, a una ricerca della comprensione e dell’approvazione collettiva. Facebook è un gioco di ruolo che ha un suo modo di raccontarti il mondo. Lo fa come decide lui, e decide quasi sempre di raccontarti le cose che piacciono a tutti, e non quelle che piacciono a pochi.”