(Stefano Cappellini, la Repubblica) Complotta l’opposizione. Complottano i giornali e le tv. Complottano i poteri forti, ci mancherebbe. Complotta il cinema italiano, mandante di Maria Rosaria Boccia e sicario di Gennaro Sangiuliano. Forse complotta anche la polizia di Stato. Nella visione di Giorgia Meloni il mondo complotta contro di lei, i suoi ministri, il suo governo. Si potrebbe ironizzare, e molto, su questa propensione alla dietrologia più assurda, però il fenomeno è meno folcloristico di quel che appare.
Dopo che Donald Trump ha perso il duello tv con Kamala Harris molti sostenitori dell’ex presidente hanno rilanciato la teoria secondo cui un vistoso orecchino indossato dalla candidata democratica era in realtà un auricolare dal quale riceveva istruzioni in tempo reale. Quante persone ci credono? Tante. Per allontanare da sé le accuse sul tentato golpe a Capitol Hill del 2021 i media e i social trumpiani hanno diffuso la teoria secondo la quale i manifestanti furono attirati in una trappola e le porte del Campidoglio furono loro aperte affinché si creasse l’incidente e se ne potesse incolpare Trump. Quante persone ci credono? Tante, anche in Italia.
Il complottismo è un tratto distintivo dell’ultradestra mondiale, fa parte del suo Dna e si inscrive perfettamente nei tempi che viviamo. Il complottismo è uno dei motori del Partito del Risentimento. Alimentare a tutti i livelli il rancore e l’odio che portano consenso alle forze più estreme: se il Paese va male, è perché qualcuno trama per affossarlo; se la tua vita è uno schifo, è perché un qualcuno ha deciso che debba esserlo. Tutto si tiene. La responsabilità è sempre altrove. Ammesso e non concesso che ci sia un briciolo di verità nelle affermazioni, tanto meglio, sarà più facile spacciarle per verità tutta intera.
Meloni stessa, prima di diventare presidente del Consiglio, ha sostenuto l’esistenza del piano Kalergi, ovvero di un secolare disegno per attrarre immigrazione nel continente europeo e favorire la sostituzione etnica (l’ex cognato Francesco Lollobrigida ha il solo torto di aver esposto pubblicamente tale convinzione anche dopo essere diventato ministro, ma non ha detto nulla che nel suo partito non fosse già da anni in vetrina). Da capa dell’opposizione Meloni ha attaccato più volte George Soros, il miliardario considerato il burattinaio delle politiche globaliste e mondialiste, il quale non incidentalmente è anche ebreo. Meloni e il suo partito sono convinti che, se non c’è stato un Pavese di destra, un Visconti sovranista, un Guttuso che ritraesse i funerali di Almirante, è perché una macchinazione culturale ha lavorato all’esclusione dei talenti artistici ascrivibili al mondo postfascista. “Non avevano la tessera giusta”, è la spiegazione a decenni di egemonia culturale altrui. Si capisce bene come un Sangiuliano che arriva al ministero della Cultura con l’idea di vendicare questa ferita ha già fallito in partenza, anche senza invitare Boccia al ministero.
Il complottismo è una convinzione profonda di questa destra o è un’arma di distrazione? La verità, probabilmente, è a metà strada. Da una parte c’è sicuramente la volontà di costruire alibi ai fallimenti e agli inciampi, uno spontaneo infantilismo per il quale la colpa è sempre degli altri, anche se un deputato fa il pistolero a Capodanno, se un ministro ferma un treno o rilancia teorie naziste, se un altro imbarca nello staff un’improbabile consigliera. Ma dall’altra c’è una adesione autentica e paranoica alle griglie di lettura del complottismo. È la componente più pericolosa di questa mentalità, perché se un capo di governo si convince che il suo potere sia assediato da manovratori occulti e scorretti, è più facile che le reazioni cerchino di imitare le caratteristiche del presunto attacco. La premessa di Capitol Hill era la tesi, ovviamente del tutto falsa, che l’esito delle presidenziali fosse stato truccato a favore di Biden. Il complottismo crea le condizioni per una naturale fuoriuscita dai confini dello Stato di diritto. Introduce gli elementi che spostano lo scontro politico dal lecito al meno lecito, dal dicibile all’indicibile. Per fortuna, non è detto che ciò accada con il governo in carica. Ma il solo fatto di crearne le premesse è già un fatto grave in sé, è un altro confine superato. In M – Il figlio del secolo, la bella serie tratta dal libro di Antonio Scurati, c’è una sequenza significativa. Dopo che i deputati fascisti hanno illustrato alla Camera come intendono riscrivere la legge elettorale, una truffa che garantirebbe più del 60 per cento dei seggi a chi raggiunge il 25 per cento dei voti, un deputato dell’opposizione dice: discutiamone. Al che Mussolini commenta soddisfatto: “Bene, il confine è già stato superato”. Se nel dibattito pubblico si accetta di discutere se Sangiuliano è stato oppure no affossato da una agente in missione per conto di Moretti e Muccino, il confine è superato. E tornare indietro non è mai semplice.
(Frasco) Il complottismo della destra spiegato da Cappellini e’ perfetto. Occorre aggiungere che i social hanno sviluppato su scala planetaria un fenomeno ben presente storicamente e che i populisti di ogni epoca e paese ben conoscono e praticano. Non c’ e’ alcuna differenza nel complottismo dei populisti di destra e sinistra nel mondo. Si pensi in Italia ai 5Stelle.
Le teorie cospirative esistono da qualche secolo e nel corso della storia sono diventate spesso occasione di conflitti politici e sociali. L’impatto della pandemia non ha portato altro che nuovo alimento al complottismo. Sul tema v. Franco Ferrari (Il complottismo ultima grande narrazione, il Mulino, 22/10/21)
La sindrome della “manina”: così il complottismo M5S è entrato a Palazzo Chigi, Manuela Perrone, 18/10/2018, Il Sole24 ore
In cinque mesi di governo è la seconda volta che Luigi Di Maio evoca la “manina”. Era successo con il decreto dignità, è di nuovo accaduto ieri con quello fiscale. Una sindrome, quella del complotto, che accompagna i Cinque Stelle fin dalla nascita. E che riemerge soprattutto nei momenti di difficoltà, quando individuare un nemico esterno aiuta a uscire dall’impasse.
Il caso del decreto dignità
Era metà luglio quando nella relazione tecnica allegata al decreto dignità spuntò la cifra choc di 8mila contratti a tempo determinato in meno ogni anno per un decennio, come effetto della riforma. Un numero «senza alcuna validità», aveva tuonato Di Maio, «apparso la notte prima che il decreto venisse inviato al Quirinale». Poi l’affondo: «Non è un numero messo dai miei ministeri o da altri ministri della Repubblica. La verità è che questo decreto ha contro lobby di tutti i tipi». La caccia alla “manina” era partita subito. Nel mirino il ministero guidato da Giovanni Tria e la Ragioneria generale dello Stato, ma anche l’Inps guidata da Tito Boeri. Quei tecnici cui il M5S ancora oggi guarda con estrema diffidenza e a cui addossa la responsabilità di frenare il cambiamento.
Le assonanze con il decreto fiscale
Con il decreto fiscale la strategia è stata simile: sconfessare l’ultima bozza del provvedimento – che allarga le maglie del condono con tanto di scudo penale, anche per i casi di riciclaggio – accusando una «manina politica o tecnica» di essere intervenuta nello stesso tragitto: quello tra Palazzo Chigi e il Colle. La differenza sta nel fatto che il sospetto si estende all’alleato di governo, nonostante la versione rassicurante sui rapporti con la Lega fornita da Di Maio nel salotto di Bruno Vespa. È la prima volta che il vicepremier pentastellato adombra pubblicamente la possibilità di un inganno da parte dei leghisti. Che infatti hanno reagito con stizza: «Noi siamo gente seria e non sappiamo niente di decreti truccati». Una presa di distanza nel merito e nel metodo che rivela il peso delle tensioni interne: con il Movimento in difficoltà con la sua base per le troppe concessioni (dal Tap al ruolo di Autostrade ampliato nel decreto Genova) e il Carroccio determinato a brandire l’arma del condono per far digerire al suo elettorato il reddito di cittadinanza.
Dal “frigo-gate” alla «farsa dello sbarco sulla Luna»
Che il complottismo sia nel Dna del M5S è difficile da negare. Il repertorio è vasto. Si va dalle celebri frasi di Carlo Sibilia, oggi sottosegretario all’Interno, sulla «farsa dello sbarco sulla Luna» e sulle teorie sul «signoraggio bancario», al “complotto dei frigoriferi” consegnato dalla sindaca di Roma Virginia Raggi per spiegare il caos rifiuti nella Capitale: «È un po’ strano, ci sono frigoriferi che invece di essere portati all’isola ecologica vengono buttati vicino ai cassonetti e non è mica un lavoro semplice portarli lì, non so neanche come facciano. Però il frigorifero è già tutto sfondato e graffiato. Mi sembra strano…». Paola Taverna, attuale vicepresidente del Senato, nell’inverno del 2016 avvisò i romani: «Potrebbe essere in corso un complotto per far vincere il Movimento Cinque Stelle a Roma. Centrodestra e centrosinistra stanno mettendo in campo dei nomi perché non vogliono vincere Roma, si sono già̀ fatti i loro conti». Angelo Tofalo, oggi sottosegretario alla Difesa, 14 anni dopo le Torri Gemelle scriveva su Facebook: «Da ingegnere, da portavoce del #M5S, da cittadino del mondo, non smetterò mai di cercare la verità̀ su quel terribile 11 settembre del 2001». Ma sono i «poteri forti» i più citati dai Cinque Stelle come occulti oppositori.