La guerra del governo ai giudici è il contrario del garantismo

Se per una tempesta improvvisa, un’avaria del suo mega-yacht o un ammaraggio d’emergenza della sua personale navicella spaziale ci fosse stato anche Elon Musk tra i 147 naufraghi salvati dalla Open Arms nel 2019, dubito fortemente che i passeggeri avrebbero passato altri venti giorni bloccati sulla nave per imposizione dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. La verità è che non sarebbe mai capitato neanche se su quella nave, in condizioni analoghe, fosse finito un qualunque turista americano o australiano. Ecco il punto. La richiesta di condanna formulata sabato dalla procura di Palermo nei confronti di Salvini, sei anni per sequestro di persona e omissione di atti di ufficio, si basa su questo semplice principio: i diritti fondamentali della persona valgono per tutti e non c’è autorità che possa violarli impunemente. Dovrebbe essere la base di qualunque idea di garantismo: la tutela dei diritti dell’individuo dagli abusi del potere, politico o giudiziario che sia. La campagna contro i magistrati che il leader della Lega è riuscito a scatenare, facendosi seguire dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dall’altro vicepresidente del Consiglio, nonché leader di Forza Italia, Antonio Tajani, e persino dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, è dunque particolarmente grave e significativa non solo perché è uno scoperto attacco alla divisione dei poteri, ma anzitutto perché la dice lunga sulla loro idea del diritto e sulla qualità del loro garantismo (non bastassero le prove già date in materia di carceri e sicurezza).

Difendere l’individuo dagli abusi del potere (politico o giudiziario) è il fondamento dello stato di diritto
La campagna del governo Meloni contro la magistratura non ha niente a che vedere con la sacrosanta battaglia garantista in difesa dell’equilibrio dei poteri, anzi, ne è l’esatto opposto. Semmai, ha a che vedere con il modello della «democrazia illiberale» teorizzata e praticata in Ungheria da Viktor Orbán, del quale Salvini e Meloni si dichiarano apertamente amici e ammiratori. Un sistema, è bene ricordare, che non è una disgrazia solo per gli immigrati, ma per qualunque cittadino non appartenga al partito o meglio ancora alla cerchia del capo.
Volendo chiudere su una nota più leggera, segnalo anche la dichiarazione della vicepresidente del gruppo del Movimento 5 stelle in Senato, Alessandra Maiorino, secondo la quale Salvini si dimostra un «sovversivo» e il suo videomessaggio ha «la stessa valenza dell’assalto a Capitol Hill». Maiorino dimentica evidentemente che quanto Salvini rivendica nel suo video (peraltro tecnicamente orrendo, come nota giustamente Guia Soncini) lo ha fatto al governo con i cinquestelle, quando presidente del Consiglio era Giuseppe Conte. E dimentica anche che lo stesso Conte è così poco persuaso della «valenza» dell’assalto a Capitol Hill da avere ripetutamente rifiutato di esprimere la benché minima preferenza tra Kamala Harris e Donald Trump. Ma forse sono troppo severo. Forse, più semplicemente, l’unico problema dei cinquestelle è che Salvini se la sia presa non con donne e bambini indifesi, come fece nel 2019 con il loro pieno sostegno, ma con i magistrati. In fondo, niente di nuovo: se per gli pseudo-garantisti di destra l’unico principio non negoziabile è che i magistrati hanno sempre torto, per i giustizialisti grillini (e non solo) l’unico punto fermo è che i magistrati hanno sempre ragione. A questo è ridotta la politica, e il giornalismo, e il dibattito pubblico in generale, al tempo del bipopulismo.