Ieri si è compiuta, con il voto del Parlamento europeo sulla risoluzione che chiedeva di allentare le restrizioni all’uso delle armi ucraine in territorio russo, la definitiva fuoriuscita dell’Italia dalle coordinate della politica europea e occidentale.
Unico paese in cui tutti i principali partiti, al governo come all’opposizione, dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando per gli estremi qualunquisti del Movimento 5 stelle, si sono schierati in un modo o nell’altro contro la decisione assunta dalle maggiori famiglie politiche dell’Unione europea, e passata ovviamente a larghissima maggioranza.
Tralascio la triste contabilità dei comportamenti di voto, tra astensioni, non partecipazione, distinzioni di lana caprina tra voto sul singolo articolo e voto sul testo che lo contiene. E non voglio neanche infierire su quegli esponenti del Pd che i giornali chiamano «riformisti», i quali, pur essendo appena stati eletti al parlamento europeo, a una votazione di tale importanza (la risoluzione non era vincolante, certo, ma aveva un valore e un peso politico evidenti in un momento simile) hanno giustificato la propria assenza con improrogabili «impegni istituzionali» o simili amenità. Non infierisco perché, con quest’ultima capitolazione al populismo, l’ultima di una lunga serie, ma anche la più umiliante e infamante di tutte, all’insegna del motto «disarmiamoci e partite», mi pare evidente che della sinistra riformista non resti più nulla.
Ora, a settembre 2024, abbiamo capito che per gli italiani, senza distinzioni alcuna, la pace invocata corrisponde alla sconfitta dell’Ucraina.