Il pasticcio delle armi all’Ucraina

Come spiegare un simile pasticcio? Devono esserci serie ragioni, la cui radice va cercata nel passato, che possano farci capire il voto italiano sulle armi a Kiev nel Parlamento di Strasburgo. Dunque, ricapitolando: le delegazioni italiane a Strasburgo, con pochissime (coraggiose) defezioni, hanno votato «no» nel passaggio della risoluzione che autorizza Kiev a usare le armi occidentali in territorio russo. In quel momento sembrava quasi che a Roma ci fosse un governo di unità nazionale e che le delegazioni italiane, dall’estrema sinistra all’estrema destra, ne seguissero le istruzioni.

Una concordia mai vista prima: cani e gatti in Italia, avvinti fra loro come l’edera su una scelta cruciale di politica internazionale. L’Italia politica si è in quel momento schierata contro le posizioni degli altri Paesi dell’Unione, degli Stati Uniti, dei raggruppamenti di cui ciascuna delegazione italiana fa parte nel Parlamento europeo. Poi, l’altro colpo di scena. Quando si è trattato di votare il documento nella sua interezza, Lega, 5 Stelle, Sinistra italiana, verdi, hanno (coerentemente) votato contro la risoluzione mentre Fratelli d’Italia, Forza Italia e Partito democratico, con un salto triplo, hanno votato a favore. L’ambiguità italiana, la nostra collocazione «sbilenca» su un tema cruciale, è risaltata in quella vicenda più di quanto risalterebbe una mosca su un lenzuolo bianco.
L’Italia politica è divisa fra chi vuole darla vinta a Putin (niente più armi a Kiev) e chi sostiene l’Ucraina ma a patto che non esageri nel suo impegno a difendersi.
C’è un fatto storico che è all’origine della anomalia italiana: la democrazia nasce a seguito della sconfitta in guerra della precedente dittatura. Approfittando del lungo periodo di pace assicurato dalla protezione militare americana si diffuse in molti ambienti la convinzione che l’Italia potesse emendarsi dai peccati del passato solo trasformandosi in uno Stato sui generis, o meglio in un «non Stato».

Non sarebbe diventata popolare altrimenti l’interpretazione dell’articolo 11 della Costituzione secondo cui l’Italia non può fare ricorso, in alcuna circostanza, all’uso della forza militare. Leggendo di quell’articolo solo il primo comma («L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»), fraintendendone il significato (i costituenti stavano ripudiando le guerre di aggressione del passato regime fascista), evitando di leggere quell’articolo nella sua interezza, i sostenitori di tale interpretazione, forse senza rendersene conto, volevano e vogliono sottrarre all’Italia — un’idea mai passata per la testa dei costituenti — l’attributo della statualità. La pensano forse come una associazione di boy scout o un circolo parrocchiale ma, di sicuro, non come uno Stato che è tale (è vero anche nel caso dello Stato democratico) se mantiene il diritto di usare la forza quando le circostanze lo impongono.

Questa è la cornice. Ossia, è dagli eventi della Seconda guerra mondiale che bisogna partire per capire l’oggi.
Osservando la parte più politicizzata dell’opinione pubblica italiana (che è anche la parte ai cui orientamenti le élites politiche sono più sensibili) constatiamo quanto forti siano in essa due tendenze, fra loro diverse, ma convergenti nel rendere così difficoltosa la navigazione internazionale dell’Italia. Ci sono «gli adoratori del Diavolo» e ci sono — usando l’espressione in modo diverso da come è stata usata in passato — «gli atei devoti».

Gli adoratori del Diavolo, in odio all’Occidente, sono pronti a sostenere qualunque regime torturi e ammazzi i sudditi che non si genuflettono. Li troviamo sia a destra che a sinistra. Per gli adoratori del Diavolo le colpe dell’Occidente giustificano il comportamento dei tiranni. Gli adoratori del Diavolo, in realtà, sono in malafede. C’è infatti un modo infallibile per decidere se un regime politico sia o no meglio di un altro. Tutto dipende dalla risposta che si dà a una domanda: io, se messo alle strette, dove vorrei vivere? Tolti pochi masochisti o quelli che si aspettano di essere ricompensati dal Diavolo per i loro servigi, è sicuro che la schiacciante maggioranza degli adoratori del suddetto, obbligata a scegliere, preferirebbe vivere nella odiata America o nell’ancor più odiato Israele, piuttosto che in uno dei regimi tirannici governati dai loro beniamini politici.

L’altra categoria, gli atei devoti, è la più interessante. La secolarizzazione ha morso in Italia come in tanti altri Paesi occidentali. I cattolici praticanti sono una minoranza. Ma ci sono molte persone che pur avendo eliminato ogni riferimento alla trascendenza dalla propria vita quotidiana, sono tuttavia influenzate da echi e reminiscenze religiose. Sono una componente rilevante del pacifismo italiano. Una variante secolarizzata (senza alcun riferimento a Dio) del Discorso della Montagna.

Adoratori del Diavolo e atei devoti hanno un importante ruolo nella politica italiana. La loro rumorosa presenza rende assai difficile sviluppare coerenti politiche della sicurezza. Ciò fa correre grandi rischi in un mondo sempre più pericoloso. Influenzano le élites politiche. E creano disorientamento nella parte meno politicizzata (la maggioranza) degli italiani. L’Italia è sempre stata una democrazia difficile. Ma, per lo meno, un tempo disponeva di solide protezioni internazionali. La solidità non c’è più. L’ambiguità resta.