L’alienazione di chi vede nel leader russo l’eroe dell’anti-imperialismo e nel presidente israeliano un nuovo Churchill
Mi torna in mente il cinico ritornello con cui i comunisti amavano giustificare qualunque crimine commesso nei paesi del socialismo reale – per fare una frittata occorre rompere delle uova – cui giustamente i dissidenti obiettavano di avere visto moltissime uova rotte, ma di non avere mai assaggiato la frittata. Temo che sarà così anche in questo caso. Quello che però mi colpisce di più nel dibattito su Israele, e specialmente in certi argomenti dei sostenitori di Netanyahu, è una forma di strana specularità rispetto alle discussioni sull’Ucraina. Mi pare di intravedere una curiosa simmetria tra la dissonanza cognitiva di chi, a sinistra, vede in Vladimir Putin il campione del fronte anti-imperialista e l’abbaglio di chi, tra conservatori e liberali di varia estrazione, si ostina a vedere in Netanyahu il difensore della liberaldemocrazia occidentale. Ovviamente non sto suggerendo alcuna equiparazione tra i due, le differenze sono troppo numerose ed evidenti, tanto meno tra la democrazia israeliana e il regime russo, e neanche tra i due conflitti, semplicemente incommensurabili, anzitutto se guardiamo alla loro genesi: da un lato la crisi ucraina, il conflitto più semplice e lineare degli ultimi cento anni; dall’altro la crisi mediorientale, forse la vicenda più intricata e controversa della storia umana. Quello che mi colpisce è l’analoga cecità, dissonanza cognitiva, trovate voi l’espressione più giusta, che sembra caratterizzare i loro sostenitori europei, e italiani in particolare. Per confondere Putin con Che Guevara ci vuole lo stesso grado di alienazione necessario per scambiare Netanyahu per Winston Churchill. Direi decisamente sopra il livello di guardia.