Bmw, Volkswagen, Mercedes, la fine del mito dell’auto tedesca: perché in Germania i colossi sono in crisi

L’industria dell’auto tedesca sta attraversando una grave crisi esistenziale. Dall’inizio dell’anno Volkswagen, Bmw e Mercedes-Benz sono state costrette a rivedere al ribasso più volte le loro previsioni di guadagno per il 2024, perdendo decine di miliardi in Borsa. Per correggere la rotta, ora i colossi tedeschi si preparano ad assumere decisioni dolorose e impensabili fino a pochi mesi fa. Volkswagen, l’«Auto del Popolo», è addirittura pronta a chiudere una fabbrica in Germania per la prima volta nei suoi 87 anni di storia e non esclude migliaia di licenziamenti nel Paese. Il modello produttivo e commerciale che ha determinato il successo dei colossi tedeschi è del resto alle corde e non resta molto tempo per trovarne uno nuovo altrettanto efficace.

Il peso dell’auto tedesca
È difficile sopravvalutare il peso socio-economico dell’auto in Germania. L’industria dà lavoro a oltre 770 mila persone nel Paese e vale circa il 5% del prodotto interno lordo del Paese. Le vendite di vetture e componenti per veicoli made in Germany valgono oltre il 17% delle esportazioni tedesche nel mondo, con la Cina come prima destinazione. L’auto è però diventata nel tempo anche un elemento fondamentale dell’identità nazionale tedesca, l’orgoglio industriale della Germania. Si comprende allora perché il governo di Berlino sia pronto a fare di tutto per evitare una crisi che potrebbe avere imprevedibili ripercussioni sulla politica tedesca.

Il fattore geopolitico
Il problema è che probabilmente neanche i soldi pubblici basterebbero a evitare un ridimensionamento dell’auto teutonica. La sua competitività industriale ha poggiato a lungo su due pilastri. Il primo: la disponibilità di energia a basso prezzo garantita dalle forniture di gas russo che controbilanciava l’elevato costo del lavoro. Il secondo: la globalizzazione che consentiva ai colossi tedeschi di esportare due terzi delle auto prodotte in Germania, compensando la debolezza del mercato domestico. La strategia ha funzionato benissimo per molti anni, ma ora si è scoperto un difetto di fabbrica: non è a prova di geopolitica.

Il gas russo
Le sanzioni al gas russo e la seguente crisi energetica hanno fatto schizzare le bollette dell’energia nelle fabbriche tedesche, rendendo la loro produzione meno competitiva sui mercati internazionali. Al contempo, i colossi tedeschi hanno visto restringersi il loro principale mercato di sbocco, la Cina, che per anni ha compensato le vendite stagnanti nel Vecchio Continente, assorbendo la sovraccapacità produttiva delle fabbriche europee.

La svolta elettrica in Cina
Ora quella valvola di sfogo si sta chiudendo. In Cina è infatti in atto ormai da tempo una svolta verso l’elettrificazione. Bmw, Volkswagen, Mercedes e gli altri costruttori occidentali se ne sono accorti troppo tardi e hanno perso il treno dell’innovazione. Quando, con ritardo, hanno provato a salire a bordo, si sono accorti che le barriere tecnologiche erano diventate molto alte: la Cina domina ormai la filiera delle batterie e le case tedesche hanno incontrato non poche difficoltà nello sviluppare software all’altezza della concorrenza.

Il protezionismo di Pechino
Contemporaneamente, il governo di Pechino ha avviato un piano di generosi sussidi all’elettrico (fra l’altro, rallentando la concessione di targhe per i veicoli a benzina e diesel) che, benché sulla carta neutri, hanno finito nei fatti per favorire i costruttori domestici. Risultato: in due anni la quota di mercato dei costruttori stranieri sul totale delle immatricolazioni cinesi è scesa dal 53 al 33%, a tutto vantaggio di Byd, Saic, Dongfeng e gli altri costruttori cinesi. E con gran danno per le case tedesche che in Cina generano circa un terzo del loro fatturato.

La sovraccapacità produttiva
La ritirata in Cina ha scoperto i piedi di argilla dei giganti tedeschi. L’anno scorso gli stabilimenti tedeschi hanno prodotto 4,1 milioni di veicoli rispetto a una capacità produttiva complessiva di 6,2 milioni. Questo significa che le fabbriche stanno in media lavorando un terzo in meno di quanto potrebbero. Nel primo semestre del 2024 la produzione è rallentata ulteriormente, con un calo del 6% rispetto al 2023 e del 19% rispetto al 2019.

L’urgenza di cambiare
Il problema è che la crisi non sembra temporanea, ma strutturale: rispetto al periodo pre-pandemia in Europa mancano 2 milioni di immatricolazioni che per Volkswagen significano 500 mila vendite in meno all’anno. «Abbiamo ancora uno, al massimo due anni, per ribaltare la situazione — ha avvertito il direttore finanziario, Arno Antlitz, con inusuale sincerità —. Ma dobbiamo far buon uso di questo tempo».