Quando ero ragazzino, negli anni Novanta, ricordo bene che l’accusa più frequente che la sinistra radicale rivolgeva alla sinistra di governo era questa: siete diventati la copia della destra. Era un giudizio rozzo ma non del tutto infondato, perché in epoca di vacche grasse e globalizzazione virtuosa la sinistra riformista aveva smesso di farsi domande sul mondo, come se ricchezza e progresso fossero conquiste destinate a raggiungere tutti per corso naturale degli eventi. Trent’anni dopo, però, quell’accusa è facilmente rovesciabile. Sono proprio loro, molti di quelli che all’epoca davano di traditori della causa a socialisti e socialdemocratici, a rincorrere la destra peggiore, imitarla, scimmiottarne linguaggio, parole d’ordine e soluzioni.
L’esempio più clamoroso a livello internazionale è forse quello di Sahra Wagenknecht, che ha preso un pezzo di Linke, il partito postcomunista a sinistra della Spd, lo ha ribattezzato dandogli il proprio nome (BSW, acronimo che tradotto sta per Alleanza Sahra Wagenknecht) e lo ha messo in pista per contendere ai neonazisti il mercato elettorale degli scontenti. La base di programma del BSW è: stop all’immigrazione, sovranismo economico, solidarietà alla Russia putiniana.
Anche in Italia sono in corso da tempo tendenze simili. L’ex rifondarolo Marco Rizzo ha rottamato il suo personale partitino comunista per lanciarsi in un cartello sovranista insieme a fascisti, no Vax e nazional-socialisti, fate voi la crasi. L’ex dem Stefano Fassina ha creato un movimento detto Patria e Costituzione che, se non fosse per i curricula dei leader, sarebbe indistinguibile da Indipendenza, la ridotta politica di Gianni Alemanno. Poca cosa, direte voi. In effetti Rizzo e Fassina sono solo degli epigoni del fenomeno.
Il primo e più grosso esperimento di travestitismo politico della storia politica recente lo hanno fatto Grillo, Conte e Travaglio. Il M5S è in anticipo di anni su Wagenknecht. Si è affacciato sulla scena pubblica afferrando la scia di quel vecchio mantra dei Novanta, cioè la sinistra di governo è identica alla destra – ricordate Grillo? “Pdl e Pd meno elle” – e con questa premessa ha trasportato idee e parole in un campo nuovo e del tutto affine al peggior populismo destrorso. Tutto è partito da una base di mobilitazione composta di molti delusi dal Pd e da Bersani (ma oggi Bersani è il loro nuovo Rodotà), più tanti gonzi convinti di battagliare per l’acqua pubblica e i beni comuni che si sono trovati presto dentro un treno piombato di antiscientismo (no Vax, no 5G), complottismo (scie chimiche, microchip sotto pelle), antisindacalismo (Grillo disse: sciogliamoli), putinismo, trumpismo. Non si sono comunque sentiti a disagio nella nuova casa, cosa che dice molto dei grillini ma ancora più delle idee di quel pezzo di sinistra che ha fornito loro parte dell’arsenale politico e della truppa.
Quando Conte sceglie di non firmare il referendum sulla cittadinanza non lo fa per divergenze tattiche con il Pd, ma perché gli risuona nell’orecchio il teorema Casalino (che resta la più pura e autentica emanazione di Grillo in politica): noi non siamo un partito di sinistra e non dobbiamo diventarlo. Sui migranti il M5S ha già fatto scelte feroci anni prima dei tedeschi ex Linke, e naturalmente anche con Conte presidente del Consiglio. Nel tentativo di riprendersi i voti nel frattempo finiti a Meloni, il messaggio del Movimento contiano non è: siamo diversi da Meloni e abbiamo idee di altro tipo. Bensì: abbiamo le idee di Meloni, solo che lei non ha il coraggio di attuarle e noi sì. Noi siamo davvero contro la Ue, il Mes, la Nato, gli Usa. Non a chiacchiere.
Guardate l’osceno esperimento di riconnotazione del pacifismo, sempre sulla scia della tesi secondo la quale la sinistra tradizionale lo ha svenduto. Alle Europee era presente una lista zeppa di putiniani e propagandisti del Cremlino, ma ammantata di arcobaleno e colombe per provare a eleggere Lilin a Strasburgo con i voti dei donatori di Emergency. La capeggiava Michele Santoro, ovvero il capofila mediatico di quella sinistra che nei Novanta faceva la guerra ai riformisti accusandoli di essere collusi con la destra. Lo stesso Santoro che ha lanciato nei suoi programmi la scesa in campo di Grillo, che con l’equivoco dell’antiberlusconismo ha reso idolo delle prof democratiche Travaglio, un “fascista di destra” (congrua definizione appena coniata per lui da Giuliano Ferrara) che fu corsivista di punta dell’Unità di Colombo e Padellaro che faceva la guerra ai Ds. Travaglio fondatore di un giornale impegnato da 15 anni nella “russificazione delle menti” (sempre il calzante Ferrara), che come il Popolo d’Italia mussoliniano vive di attacchi personali, violenza verbale e degradazione dell’avversario, però comprato anche da lettori che ritengono di avere sotto braccio il Quotidiano dei lavoratori. Naturalmente è il giornale che più ha sostenuto la scalata del grillismo e tutte le sue più oscene campagne antipolitiche, avendo sempre un solo vero grande nemico da abbattere, la sinistra riformista, chiamato a scegliere tra Conte e Grillo in una contesa dove i due sono tuttora d’accordo su tutto tranne su chi è il padrone del Movimento.