«Pace impossibile, guerra improbabile». Con questa formula, durante la Guerra fredda, uno dei più acuti osservatori dell’epoca, il francese Raymond Aron, riassumeva lo stato dei rapporti fra la Nato e il Patto di Varsavia. La guerra fra i due blocchi sarebbe stata una guerra nucleare e ciò la rendeva improbabile. Al tempo stesso, nemmeno la pace e, quindi, rapporti non conflittuali, erano possibili fra l’Occidente liberale e l’Oriente comunista.
E oggi? Quella formula può essere riproposta in un mondo così radicalmente cambiato? Il Medio Oriente in fiamme calamita in questo momento l’attenzione di tutti, ma è a causa della guerra in Ucraina che molti continuano a temere il peggio. La paura della guerra nucleare serpeggia in Europa, alimentata dall’incontinenza verbale di Putin e dei suoi cortigiani, con le loro continue minacce di scatenare l’Armageddon. Quella paura contribuisce a rendere tiepido il sostegno di molti europei nei confronti di Kiev. Ci sono tante persone che, pur non stando affatto dalla parte di Putin, temono che se egli non otterrà ciò che vuole trasformerà l’Europa in un cimitero radioattivo. Per quanto sia arduo curare la paura ricorrendo ad argomentazioni razionali non ci si può esimere dal provarci.
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La possibilità che scoppi una guerra nucleare esiste fin da quando è stata inventata la bomba atomica. E sarà sempre così.
Tuttavia bisogna distinguere. Che, in qualche parte del mondo, l’arma nucleare venga prima o poi usata in un conflitto regionale, tra potenze locali, non è purtroppo una possibilità del tutto remota. Ciò spiega i ripetuti tentativi della cosiddetta «comunità internazionale» (ossia, delle grandi potenze) di impedire una incontrollata proliferazione nucleare. Anche se, per lo meno, si può constatare che due mortali nemici come India e Pakistan sono da tempo, entrambi, potenze nucleari ma ciò, fino ad oggi, non ha provocato la tragedia. La probabilità che scoppi una guerra nucleare fra grandi potenze è invece una possibilità remota. Persino nel caso in cui una di queste grandi potenze sia in mano a un pugno di avventurieri guidati da un autocrate (come la Russia di Putin). La ragione ha a che fare con l’istinto di sopravvivenza che è proprio di qualunque gruppo dirigente. Se decidi di premere il bottone nucleare sai che i tuoi nemici faranno la stessa cosa contro di te. E comunque non puoi escludere che ciò avvenga. Se anche non ti importa nulla di cosa accadrà al tuo Paese e ai suoi abitanti, di sicuro ti importa di te stesso, di cosa accadrà a te. Anche ammesso che tu sopravviva fisicamente, non solo il tuo Paese ma anche la tua posizione di autorità, e il tuo potere, ne usciranno distrutti. O, quanto meno, fortemente ridimensionati.
Spesso, nella storia, le classi dirigenti si autodistruggono, ma mai in modo consapevole e deliberato.
Certo, è preferibile (e più rassicurante) che la potenza nucleare sia retta da un regime politico stabile, con istituzioni solide, ben impiantate nella propria società. Più un regime è stabile, più la sua classe dirigente si sente forte, meno sarà tentata (o così si suppone) di fare colpi di testa, di fare scelte temerarie e azzardate. Quella cinese, ad esempio, è una autocrazia diversa dalla russa. Anche i cinesi, come Putin, contestano l’ordine occidentale e vorrebbero rovesciarlo. Ma possono permettersi di giocare sui tempi lunghi, preferirebbero, potendo (se lo permetteremo), cucinarci a fuoco lento.
Putin tira continuamente in ballo le armi nucleari per una semplice ragione. Insieme all’estensione territoriale della Russia, insieme alla possibilità di mobilitare un gran numero di uomini in una guerra convenzionale, l’arsenale nucleare è ciò che ne fa una grande potenza. Cosa che essa non è affatto sotto il profilo economico. È soprattutto grazie al possesso delle armi nucleari che la Russia , rivendicando lo status di grande potenza, pretende di ricostruire l’impero perduto con il crollo dell’Unione Sovietica. Ma il fatto che Putin ci sventoli continuamente sotto il naso la sua «patente» di capo di una potenza nucleare, non rende meno remota la possibilità che egli passi dalle parole ai fatti. Perché, di sicuro, sia a lui che al suo gruppo interessa sopravvivere.
Però, è vero il fatto che le guerre possono scoppiare anche se nessuno le vuole. Semplicemente, perché si mettono in moto processi semi-automatici di cui si finisce per perdere il controllo. È il caso della Prima guerra mondiale. È proprio per questo che occorre sperare che Putin venga fermato in Ucraina. Se vincesse non si fermerebbe. Dopo una vittoria, anche eventualmente solo parziale, su Kiev, aggredirebbe qualche altro Paese europeo. Perché ciò esige l’ideologia neo-imperiale da cui traggono legittimità lui e il gruppo che lo circonda. E allora sì che la guerra generale da nessuno voluta — certamente non voluta dagli occidentali — potrebbe alla fine scoppiare.
Putin ci ha dato abbondanti prove di quanto la debolezza, il senso di insicurezza, del gruppo dirigente di una grande potenza possano generare aggressività e avventurismo. Chi si sente debole a casa sua può essere assai più pericoloso di chi si sente forte. Tuttavia, «Muoia Sansone con tutti i Filistei» resta, anche in questo caso, una opzione poco probabile.
Siamo entrati, per restarci, in un mondo multipolare, dominato dalla competizione fra grandi potenze. Sono tutte potenze nucleari. La lotta per il primato economico, politico e militare è, e sarà a lungo, intensissima in tutte le aree del mondo. Con tensioni continue. E, purtroppo, c’è da scommettere, ci saranno anche in futuro tante guerre locali con il coinvolgimento diretto o indiretto delle grandi potenze. Sempre ci sarà chi penserà «e se questa volta finisse davvero male?». Nessuno può garantire niente. Però, forse, la formula di Aron (pace impossibile, guerra improbabile ) conserverà anche in futuro la sua plausibilità. Per lo meno, se è di armi nucleari che si parla.