La parola chiave è data center. Data center per le intelligenze artificiali: grandi centri “abitati” da migliaia di computer, sorta di piazze reali e virtuali popolate da macchine che, a perdita d’occhio, ospitano infiniti mondi. È il futuro, ma anche il presente, perché quello dei data center è, in prospettiva, un settore strategico che chiama altri investimenti strategici (energia per far funzionare i potenti server necessari al lavoro delle intelligenze artificiali e acqua per raffreddare gli ambienti dove i server svolgono la loro funzione di cervello, scheletro e motore). E se la parola chiave, un po’ fantascientifica, è data center, l’uomo chiave che appare in prima battuta sulla scena in questa storia non è il protagonista, cioè il professor Georg Gottlob, accademico e informatico pluripremiato anche detto “guru dell’intelligenza artificiale”, giunto in Italia da Vienna, prima, e da Oxford, poi, per insegnare all’Università della Calabria, ma un personaggio che non è sotto le luci della ribalta anche se è perennemente nei discorsi di chi lavora o vuole lavorare con l’IA: trattasi di Larry Fink, presidente e amministratore delegato di BlackRock, società di investimento potente e presente nell’azionariato di banche e società statali italiane, molto attiva sul fronte futuribile del funzionamento dei grandi centri informatici che faranno da piattaforma, autostrada e nucleo vitale per le migliaia di computer attraverso cui correrà l’intelligenza artificiale. E si dà il caso che, qualche giorno fa, Fink abbia incontrato a Palazzo Chigi la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, oltre ai vertici di Enel e di Poste, e che, con la premier, Fink si sia soffermato con un “approfondito scambio di vedute”, così diceva il comunicato ufficiale, proprio sui data center e sulle infrastrutture necessarie al loro funzionamento. Visto che il settore necessita di grandi risorse, e che Fink gestisce una immensa quantità di ricchezza private, il colloquio tra i due è stato significativo di una direzione che l’Italia vorrebbe prendere. E anche se Meloni e Fink hanno poi parlato d’altro, dai trasporti in giù, la questione data center è stata messa al centro del tavolo, al pari dell’altro tema strettamente connesso: investire al sud. Ed è qui che la storia del magnate di BlackRock si interseca con quella del professor Gottlob.
Chi era costui? potrebbero dire i più, e anzi, chi non ha competenze o conoscenze in tema di informatica e IA, argomento sempre più centrale ma ancora pionieristico, resta stupito (cronista compresa) nell’apprendere che all’Università della Calabria, non più tardi di un anno fa, è arrivato, per insegnare, studiare e restare – parole sue: “Vado dove c’è luce” – proprio Gottlob, luminare degli studi sull’intelligenza e sull’ignoranza artificiale, materia tanto affascinante quanto ambigua, capace di intercettare tutti i dubbi e le paure di quest’epoca di mezzo non ancora dominata dall’IA, ma inesorabilmente in viaggio verso un mondo in cui con la IA bisognerà saper convivere. Non a caso, “intelligenza e ignoranza artificiale” è stato il tema della lectio magistralis fatta da Gottlob – sessantasettenne membro della Royal Society, austriaco di nascita, anglosassone per consuetudine di vita, italiano per amore di sua moglie Laura, curatrice d’arte, con cui divide la vita da 40 anni – al momento di insediarsi all’UniCal, tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. “Non solo noi uomini ignoriamo certe cose; anche le macchine possono errare”, è stata la frase chiave della lectio, incentrata sui confini dei cosiddetti “large language models” come ChatGPT: quali sono le loro potenzialità, quali le loro criticità? “Gli errori delle macchine che costruiamo devono essere studiati per migliorare”, diceva Gottlob, intercettando, con rabdomantico intuito psico-scientifico, sia le ansie del corpo docente sia le speranze del corpo studentesco: “Oggi siamo arrivati a logiche di intelligenza artificiale molto efficienti che possono lavorare con big data e sviluppare ragionamenti piuttosto complessi”, è la sua idea, “anche se questa disciplina ha ancora bisogno di svilupparsi”.
Fatto sta che, all’alba del 2024, Gottlob, trasferitosi senza rimpianto da Oxford con consorte dopo quasi vent’anni di vita inglese (“so quello che faccio, non faccio salti nel buio, ho già lavorato bene con il rettore Nicola Leone”, diceva a colleghi e amici), ha cominciato la sua terza vita in Calabria, carico di riconoscimenti che hanno dell’incredibile, in un’epoca in cui la competenza specifica sull’IA (vedi incontro Meloni-Fink) diventa cruciale, investendo campi che, nel prossimo futuro, saranno al centro del discorso economico e politico. Intanto, la storia di Gottlob è una storia intellettuale che parla non soltanto di ampliamento, grazie a lui, dell’offerta formativa dell’UniCal, al confine labile e potenzialmente fondamentale tra Medicina e Informatica, campo studiato all’Università della Calabria da prima del suo arrivo e che, con il suo apporto, potrebbe svilupparsi ad alto livello, ma anche di vette raggiunte a livello personale nella comunità dei pari, studiosi di materie che fanno venire un capogiro misto a senso di colpa a chi non ha mai pensato fosse necessario capire qualcosa di matematica se si era bravi in italiano, ma che oggi (per fortuna) ispirano sempre più studenti.
Gottlob è infatti un professore sui generis, al tempo stesso insegnante di informatica e sorta di Virgilio-guida in un universo sconosciuto ai più, ma già imponente nella sua terza dimensione impalpabile. I titoli che riempiono il suo curriculum sono tappe, indizi e prove di un futuro già arrivato, magari proprio sulle sue spalle, ex “fellow” del St John’s College di Oxford trasferitosi nella piccola Arcavacata, frazione di Rende, provincia di Cosenza, e forte di un passato al Politecnico di Vienna, dove per la prima volta Gottlob ha incontrato Leone, oggi rettore dell’UniCal, e forte del fatto di essere membro della Royal Society come, ai loro tempi, Isaac Newton e Charles Darwin. Non è tutto, ché Gottlob è stato insignito della EurAI fellowship, al pari di altri colleghi dell’Unical (lo stesso Leone, il prorettore Francesco Scarcello e il direttore del dipartimento di Matematica e Informatica Gianluigi Greco). E nel curriculum di Gottlob compaiono 104 pubblicazioni, con citazioni in più di 7.000 ricerche, frutto della fede avanguardista nella capacità attrattiva di materie insegnate da un gruppo di docenti che, dal sud italiano, sta correndo al passo dei poli d’eccellenza sulla IA nel mondo, cercando di rispondere nel modo più lungimirante possibile alla domanda filosofico-matematico-cibernetica, si sarebbe detto ai tempi dei robot da cartone animato, antenati lontanissimi degli immateriali alter ego computerizzati della mente umana: ma è davvero possibile raccogliere i nostri pensieri in grandi database, e rielaborarli in maniera intelligente? È l’interrogativo cui Gottlob ha sempre risposto con parole di realpolitik scientifica: “Stiamo lavorando a sistemi che possano riconoscere queste manipolazioni ed evitarle”.
Certo non è, Gottlob, racconta scherzando un collega, un professore che si presenta a lezione come il “mio Capitano” Robin Williams de “L’attimo fuggente” o come un fascinoso Harrison Ford esperto di archeologia ne “I predatori dell’arca perduta”. Gottlob si presenta con aria amichevole, primus inter pares che scrive veloce sulla lavagna con sciarpa lenta sul collo, giacca di fustagno scuro e capelli biondi a spaghetto da ex ragazzo austriaco in vacanza in Italia. Paese dove Gottlob veniva da bambino, precoce autodidatta della lingua che poi gli servirà nel lavoro e nella vita, al momento dell’incontro-colpo di fulmine con Laura, in un’estate viennese in cui lui e un amico si erano divertiti a fare da Ciceroni a due belle ragazze italiane, tra colline, fiumi, musica e notti in bianco che – si scoprirà poi – avrebbero portato nel caso di George a un felice matrimonio e a una vita in quel di Oxford con due figli, un cane, due carriere e una grande propensione all’avventura.
Facendo un passo indietro, Gottlob “era già Gottlob a quindici anni”, dice chi lo conosce da tempi immemorabili, e ne ricorda l’attitudine a macinare teoremi camminando per la stanza avanti e indietro, indietro e avanti, fino a che qualcosa non lo illumini, tanto che, se fosse un fumetto, il professore esclamerebbe “Eureka!”, come Archimede Pitagorico, mentre nella realtà si limita a riemergere di tanto in tanto dal lago profondo di formule e calcoli inaccessibili ai profani. E quel camminare avanti e indietro è parte del percorso matematico-informatico, dice chi frequenta il professore, l’uomo che nel 2022 ha risposto a una call per “chiamata diretta” nella stessa università dove, nel 2017, aveva ricevuto una laurea honoris causa e dove, per una strana circonlocuzione di destini, il vertice accademico oggi spera, anche grazie al traino di Gottlob, di poter avviare un percorso virtuoso di “rientro di cervelli”.
Eppure non è un marziano, Gottlob, nonostante l’alto grado di specializzazione in temi extraterrestri per i più. E anzi, il professore umanizza la macchina disumanizzata che imita l’uomo scandagliandone i quasi umani difetti. “Non possiamo fidarci ciecamente dell’IA”, dice a studenti e colleghi, perché “ChatGPT può fare errori anche banali, per via dell’attività di compressione: i sistemi comprimono tutto il web e utilizzano una rete neurale che è più piccola del web e perde informazioni. Quindi, in fase di ricostruzione, possono essere collegate tra loro informazioni non coerenti che generano un risultato non corretto”. ChatGPT, dice il prof, lavora per “similarità”, cerca cioè di correggere la mancanza di informazioni estrapolando “qualcosa di simile”. Altro problema, le informazioni prese dal web e non verificate: ChatGPT non ha pensiero critico né capacità di ragionamento, dice Gottlob, parlando tuttavia senza paura e senza giudizio di questa rivoluzione tecnologica annunciata ma già in corso, come fosse un argomento normale di conversazione. Così infatti ne ha parlato quando, l’inverno scorso, intervistato da Bruno Vespa a “Porta a Porta”, ha magnificato l’IA al pari delle bellezze del mare di Calabria e della città dov’è andato a vivere, Paola, con i suoi paesaggi assolati amati dal suo cane, e i vicini di casa affabili, e a un certo punto i nuovi concittadini si sono stupiti di essere citati in interviste e conferenze in ogni parte del mondo, anche al di fuori da quella strana comunità dell’algoritmo che permette a lui, professore austriaco, di traslocare a quasi settant’anni nella casa (accademica) del rettore Leone, l’uomo con cui vent’anni prima aveva condiviso un progetto e che un anno fa per questo l’ha voluto nella sua squadra, con l’idea di esplorare le frontiere del possibile connubio tra IA e medicina: l’una può davvero aiutare l’altra?
Cercherà di rispondere, il professore, pensando e studiando non sempre al tavolo, ché l’attività che favorisce il lavoro della mente è per lui da sempre l’atto di mettere un piede dietro l’altro guardando quello che c’è davanti (risultato: cinque chilometri di passeggiata al giorno, con il sole e con la pioggia). Ed è lungo il crinale della speculazione pura che Gottlob diventa, per eterogenesi dei fini, analista politico suo malgrado, quando analizza i potenziali pericoli dell’AI rispetto alle reti sociali, nel senso che l’AI può creare l’avatar di una persona, farla parlare con parole mai pronunciate e far viaggiare quelle parole per le autostrade del web, facendo credere a chi legge che sia vero ciò che è falso.
Facendo un passo indietro, i prodromi della vita odierna di Gottlob, nipote di un famoso chimico che ha scoperto il caucciù sintetico, come ha raccontato Gottlob in un’intervista a “Calabria live”, affondano nei primi anni Ottanta, anni in cui il giovane austriaco, allora ricercatore al Politecnico di Milano, diventa consulente-capo del progetto di ricerca industriale Datanet-Sad, file server distribuito da Olivetti Microcomputers. Da lì alla specializzazione in linguaggio dei database passano pochi anni di viaggi accademici, da Stanford a Parigi e di nuovo all’Italia in cui era stato da piccolo, in vacanza con i genitori medici e in campeggio a Grado o a Gabicce mare, sconcertato per la comparsa di strani “giocattoli” ancora rari a quel tempo in Austria (i semafori per i pedoni) ed estasiato davanti alle mura del castello di San Marino, figura da libro di favole che si fa realtà.
Ed è realtà, ex post, anche la parallela favola della sua vita: gli esordi nella Milano da bere, l’incontro a Vienna con un’italiana appassionata d’arte e lettrice di Joseph Roth, il matrimonio che dura attraverso quattro decenni e quattro città, due figli ormai lanciati nel mondo accademico e della comunicazione, e quell’abitudine di andare avanti e indietro per la casa, tirando fuori, come per magia, uno, due, tre, quattro teorie sull’ignoranza intelligente e sull’intelligenza ignorante, ben nascoste sotto la sigla IA.