Un anno dopo, un anno dopo il pogrom del 7 ottobre, c’è chi prova a ragionare, c’è chi prova a non dimenticare, c’è chi prova a tenere fissa nella mente la differenza che c’è, in medio oriente, tra chi viene aggredito e chi aggredisce, tra chi cerca di difendere la propria esistenza e chi cerca di minacciare l’esistenza altrui, e certamente tra chi prova a non dimenticare, nel panorama istituzionale e politico italiano, c’è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, come il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel ricordare il 7 ottobre di un anno fa, ha usato una parola che non tutti ieri hanno scelto di utilizzare: il diritto di Israele a difendersi.
C’è chi prova a ragionare, dunque, e c’è invece chi, riavvolgendo il nastro degli ultimi dodici mesi, si ostina a giocare con la menzogna, cercando di rappresentare il mondo alla rovescia, per non dire al contrario. E in quel mondo alla rovescia può dunque capitare di osservare scene come queste. Può capitare di ritrovarsi di fronte a rettori di alcune università che considerano l’antisemitismo come una semplice forma di libertà d’espressione. Può capitare di osservare fieri antifascisti non a disagio nel considerare i terroristi di Hamas come dei nuovi partigiani della libertà. Può capitare, come suggerito da molti giornali a ridosso del 7 ottobre, di vedere qualcuno deciso a considerare Israele come il paese che ha portato il medio oriente sull’orlo della guerra generale, ignorando il fatto che ad aver portato il medio oriente sull’orlo di una guerra non regionale non è Israele ma è l’Iran, che da mesi sta non a caso attaccando Israele da tutta la regione e anche oltre (i missili degli houthi partono dallo Yemen: 2.300 km da Tel Aviv). Può capitare, ancora, di ritrovarsi a fare i conti con alcune università animate da sentimenti progressisti, come successo ieri in Inghilterra, dove molti ragazzi pro Palestina si sono riversati nei campus per organizzare scioperi e proteste in concomitanza con le veglie in memoria del 7 ottobre, pieni di studenti di sinistra, difensori dei diritti, perfettamente a loro agio nel prendere le parti di un regime, quello degli ayatollah, dove chi difende i diritti, specie quelli delle donne, specie quelli degli omosessuali, finisce in carcere o impiccato in piazza. Può capitare di ritrovarsi di fronte a femministe che inneggiano agli stupratori.
Può capitare di ritrovarsi di fronte a facoltà che non inviterebbero mai a parlare nelle proprie aule un Ratzinger, per dire, ma che si schierano senza pensarci troppo con i fondamentalismi religiosi. Può capitare di ritrovarsi di fronte a giovani americani che un tempo gridavano Dio è morto e che ora inneggiano ai partiti di Dio. Può capitare di ritrovarsi di fronte a sostenitori del wokismo, dove woke ricordiamo sta per svegliarsi, che mentre fanno campagna contro Israele, svegliatevi, si addormentano di fronte ai finanziatori del terrorismo nel mondo. Un anno dopo il 7 ottobre il mondo alla rovescia è qui con noi, è qui che lotta per portare avanti la sua coraggiosa intifada contro i sionisti del mondo, ed è un mondo che continua a non capire quello che ha perfettamente sintetizzato pochi giorni fa sul New York Times un politico israeliano non sospettabile di essere una quinta colonna della dottrina Netanyahu: “Insieme all’Ucraina e a Taiwan, Israele – ha scritto Benny Gantz – è un avamposto democratico minacciato da un asse di sovversione. Se uno cade, ne seguirà un effetto domino e le nazioni catturate nel mezzo dovranno scegliere da che parte stare”. Non scegliere da che parte stare, un anno dopo, non significa essere dalla parte sbagliata della storia, o almeno non significa solo questo, ma significa scegliere di difendere la libertà nel mondo andando a braccetto con i nuovi totalitarismi nemici della libertà. Svegliarsi è ancora possibile. Woke!