«Io, col partito che fa l’elettroshock ai bambini per venderseli, non voglio avere nulla a che fare!». Luigi Di Maio quando era Luigi Di Maio. Non aveva ancora scoperto la fascinosa compostezza della diplomazia eurabica. Su Bibbiano e il Partito democratico che faceva la tratta dei bambini dopo averne strapazzato i neuroni l’allora capo del Movimento 5 Stelle toccò una delle vette della sua carriera realizzando il famigerato video in cui pronunciava la frase appena citata. Pochi mesi dopo quel video, Di Maio era ministro degli Esteri di un governo di coalizione con il Pd. Come se qui il problema fosse la coerenza e non il contenuto delle accuse. Diciamo che non serviva una sequela di sentenze di assoluzione di tutti gli imputati della vicenda per rendersi conto di quanto fosse assurda la dietrologia politica sull’inchiesta giudiziaria. Ma Bibbiano è la Woodstock dei complottisti italiani, la convention del cospirazionismo sovranista de noantri, perfetto anello di congiunzione tra grillismo, melonismo e salvinismo. La parabola del caso, invece, somiglia a quella del Superbonus edilizio: prima tutti a banchettarci su, ora tutti a fischiettare e cascare dal pero. Bibbiano che? Bibbiano chi?
Meloni, la presidente del Consiglio che da capa dell’opposizione non s’è mai fatta scappare alcuna delle polemiche più viete, da Soros che organizza la sostituzione etnica al signoraggio monetario francese in Africa (in questo caso in tandem con il Fratello ad honorem Alessandro Di Battista), non poteva mancare. Nel gennaio del 2020 Meloni si piazzò sotto il cartello stradale con il nome della cittadina reggiana e disse a favore di telecamera: «Siamo stati i primi ad arrivare e saremo gli ultimi ad andarcene». L’ultimo Fratello spenga la luce, allora. Meloni non voleva farsi scavalcare da Matteo Salvini, che addirittura fece salire una bimba sul palco di un comizio della Lega presentandola come «una bambina di Bibbiano». Una sopravvissuta ai piani di sterminio di Nicola Zingaretti, in pratica. Poi si scoprì che non si poteva portare una minore su un palco in quelle condizioni («Ah no?», avrà detto Salvini ai contestatori), poi si scoprì che la bambina non c’entrava nulla con Bibbiano, poi si scoprì che la Lega non voleva parlare d’altro e l’attuale sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni si presentò in Parlamento con una maglietta su cui c’era scritto «Parlateci Di Bibbiano», con la P e la D evidenziate, e in molti pensarono che un effetto collaterale buono c’era, forse la Lega avrebbe smesso per un po’ di parlare di politica, ma l’ottimismo in Italia è spesso mal riposto.
Oggi è più facile vedere tutto per quel che era, un delirio politico, eppure c’è dentro il serissimo repertorio della peggiore propaganda populista.
Quel «parlateci di Bibbiano» che alludeva a una fantomatica censura dei “giornaloni” e dei media “mainstream”, la parolaccia preferita dei trumpiani di tutto il mondo, per una storia della quale, peraltro, si parlava ovunque. «Non ce lo dicono», l’amo con cui pescare gonzi a strascico. «Tutto quello che sai è falso», il gancio illogico per dimostrare che tutto il resto è dunque vero. Così un’accusa di abuso di ufficio a un oscuro sindaco locale del Pd diventa ragione sufficiente per sostenere che il Pd traffica bambini. Poco da ridere, lo schema non è né casuale né improvvisato: negli Usa i membri della setta Qanon, l’ultradestra che ha occupato un pezzo del Partito repubblicano e migliaia di canali web che propalano ciclopiche bufale, sostengono che i democratici Usa siano la copertura di una setta di pedofili che scannano bambini e che Hillary Clinton è la sacerdotessa del culto. Una chiara eco di queste teorie è risuonata a Bibbiano nelle parole del fascio-grillismo italico.
Le ben note gazzette giudiziarie, eccitate per l’irripetibile combinazione di tintinnio di manette, coinvolgimento del Pd e panico morale da maggioranza silenziosa, hanno seguito il caso come il Watergate. Poi, quando sono arrivate le prime assoluzioni, se la sono cavata come al solito: non cambia nulla. Non esistono innocenti, solo colpevoli che l’hanno fatta franca. E tanto «non ce lo dicono».