Azzerare le emissioni in Italia impiegando esclusivamente fonti rinnovabili. Non è solo la posizione di alcuni ambientalisti, ma anche quella ufficiale di tutto il cosiddetto “campo largo”. Vediamo allora qualche numero.
Il portale di Terna indica che in Italia vi sono richieste di connessione alla rete per una potenza elettrica da fonte rinnovabile pari a 342 GW, sei volte il picco di domanda attuale. Di questi, 151 GW sono di fotovoltaico, 108 di eolico su terraferma (onshore), 83 di eolico in mare (offshore). Lasciamo da parte gli 83 GW di eolico offshore, praticamente tutti galleggianti – tecnologia costosa e completamente assente nel Mediterraneo, di cui in Europa esistono solo tre piccoli impianti in aree ben più ventose – e soffermiamoci sugli impianti fotovoltaici ed eolici onshore, limitando cautelativamente quelli offshore a 15-20 GW. Se tutti questi nuovi impianti fossero realizzati in aggiunta a quelli già esistenti – e ipotizzando altri 50-60 GW di fotovoltaico su coperture, più tutto quanto serve di sistemi di accumulo, reti di trasporto e distribuzione, ecc. – in teoria (e sottolineo in teoria) ci avvicineremmo a generare in Italia da sole rinnovabili l’intero fabbisogno elettrico atteso al 2050 (650-700 TWh, dice il documento pubblicato dal governo Conte II). Sui costi di un sistema siffatto torneremo tra un attimo: ora soffermiamoci sul suo impatto sul territorio.
Cominciamo col dire che, mentre oltre il 50 per cento della domanda elettrica è concentrata nella zona Nord (Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta), le richieste di connessione in quella zona sono meno del 7 per cento del totale. Mentre l’80 per cento delle richieste sono localizzate nelle zone al Sud e Isole (Puglia, Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). Non c’è da stupirsene: il Sud è più soleggiato e i pochi spot ventosi disponibili in Italia sono concentrati in specifiche aree del Sud e delle Isole. Per effetto di questo sbilanciamento sarebbero necessari enormi potenziamenti (per decine di GW) della rete di trasmissione, a carico della bolletta elettrica.
E qui, relativamente all’energia eolica, serve una piccola digressione. Per utilizzare nuove aree, sino a qualche anno fa scartate a causa della bassa velocità media del vento, si usano oggi aerogeneratori di diametro ben più grande di quelli adatti a siti con venti più intensi, tipici del nord Europa, che in Italia sono pochi e già sfruttati. Così, molti impianti oggi proposti ricorrono a rotori da 6 MW, con diametro di 170 metri, montati su sostegni alti sino a 120 metri, sicché l’altezza complessiva supera i 200 metri. Inoltre, gli aerogeneratori vanno distanziati tra loro, per evitare che le vorticosità generate da un rotore compromettano il funzionamento di quelli vicini. Buona norma è che siano tra loro distanti 5-6 volte il diametro, nella direzione del vento prevalente, e 3-4 volte, nella direzione perpendicolare. Per tutto quanto sopra, l’impiego di aerogeneratori adatti a venti deboli fa sì che a un impianto eolico debba essere riservata una superficie di 10-12 ettari per MW di potenza installata. Non si tratta di superficie “occupata” in senso stretto, ma “disseminata” di aerogeneratori, che creano diversi effetti di disturbo (rumore, shadow-flickering, impatto visivo, ecc.) ma non impediscono attività agricole, pascolo, ecc. Resta il fatto che 108 GW di impianti eolici onshore richiederebbero l’installazione di 18.000 aerogeneratori con le caratteristiche sopra descritte, distribuiti su 13.000 km quadrati, cioè, in media, il 4,3 per cento della superficie italiana.
Tuttavia, guardando in dettaglio, il valore medio perde di significato. Infatti, com’è ovvio, le richieste di connessione inseguono quel poco di vento che c’è in Italia. Così, ad esempio, in Sardegna sono proposti 17 GW di eolico onshore, di cui 8 in provincia di Sassari; sicché il 12 per cento della superficie di quella provincia sarebbe disseminata di 1.330 aerogeneratori. E quando fossero realizzati i 6,7 GW proposti in Calabria, il 13 per cento della superficie della provincia di Catanzaro dovrebbe ospitare 450 aerogeneratori delle stesse dimensioni. E ancora, installando gli 11,2 GW proposti in Basilicata, il 14 per cento del territorio della provincia di Potenza sarebbe costellato da 1.290 di quelle macchine. Ancora peggio andrebbe alla provincia di Trapani, dove il 26 per cento della superficie sarebbe interessata da 900 aerogeneratori simili, se i 17 GW proposti in Sicilia fossero costruiti. Per non parlare della provincia di Foggia, che vedrebbe il 30 per cento della propria superficie invasa da 3.040 aerogeneratori, se i 30 GW localizzati in Puglia divenissero realtà. Ancora più impressionante l’impatto sui singoli comuni, anche fuori dalle regioni e province a maggior concentrazione. Per esempio, a Pitigliano e Scarlino (Grosseto) e a Pattada (Sassari) il 40 per cento del territorio comunale sarebbe disseminato di aerogeneratori; a Mazara del Vallo (Trapani) e a Lucera (Foggia) l’invasione riguarderebbe più del 55 per cento del territorio; ad Ascoli Satriano (Foggia) e Monte Milone (Potenza) il 65 per cento; sino ad arrivare, nei piccoli comuni di Amato (Catanzaro) e Mallare (Savona), a oltre il 75 per cento della superficie comunale. Tutto questo si apprende leggendo il portale Terna.
Alla luce di questi numeri, è evidente che in Italia 100 e più GW di nuovi impianti eolici a terra non li vedremo mai. Ma dobbiamo scongiurare il rischio di bloccare anche quel poco che si potrebbe davvero realizzare.
Per questo, l’unica strada ragionevole è definire le aree idonee sulla base di criteri “freddi”, misurabili, legati alla tipologia e dimensioni fisiche degli impianti e all’orografia del territorio; autorizzando poi i grandi impianti esclusivamente su quelle aree. E a questo proposito, non stupisce tanto che ad esempio in Sardegna (ma presto – c’è da attendersi – anche altrove) s’intenda autorizzare nuovi impianti solo dopo l’individuazione delle aree idonee, quanto piuttosto che la Presidente e tutti i partiti al governo regionale sardo siano fervidi paladini di un’Italia a energia esclusivamente da fonti rinnovabili, senza tuttavia produrre un solo numero, uno scenario, una valutazione d’impatto che sia una. Per scoprire poi da un data base che cosa questo implicherebbe.
Né l’impatto sul territorio è l’unico aspetto che scoraggia in Italia l’opzione 100 per cento rinnovabili. Eppure l’alternativa non è continuare coi fossili.
Nient’affatto, la soluzione ce l’abbiamo: basta confrontare quel che accade in Francia e in Germania.
E anche in Italia, qualunque modello che consideri il profilo orario della generazione solare ed eolica e della domanda attesa nel lungo periodo (2050 o giù di lì) e calcoli i costi di tutto quanto serve per soddisfare ora per ora la domanda (generatori, sistemi di accumulo, reti di trasmissione e distribuzione), mostra che un mix di nucleare e rinnovabili (quel che si può di eolico, tanto solare e almeno il 45% di nucleare) è di gran lunga preferibile a una soluzione con sole rinnovabili. Perché occupa meno suolo, impiega meno materiali, emette meno CO2 nel ciclo di vita e costa pure significativamente meno. E per restare al tema di questo articolo, bastano le foto aeree e il layout degli impianti per scoprire che una centrale nucleare come quella da poco completata a Barakah, negli Emirati Arabi, con quattro reattori, occupa una superficie di 200 ettari e genera in continuità, senza bisogno di sistemi di accumulo, la stessa energia elettrica di 3.500 aerogeneratori come quelli di cui sopra, distribuiti su 200 mila ettari, o se preferite di 40 mila ettari ricoperti da pannelli fotovoltaici. Cui naturalmente andrebbero aggiunte le superfici destinate ai sistemi di accumulo.
Come sempre, i numeri aiutano a prendere le decisioni migliori, molto più dei proclami.
Giuseppe Zollino, resp. Energia e Ambiente di Azione