Se un marziano arrivasse oggi a Roma, a patto poi di trovare un taxi, vedrebbe un paese allo sbando, con gli ennesimi scioperi dei mezzi pubblici, e l’inesorabile declino dell’industria pesante, mentre la sanità è ai minimi termini, così come l’istruzione, la giustizia, il fisco, e i conti pubblici ulteriormente vandalizzati da quell’alzata d’ingegno appulo-venezuelana del bonus 110 per cento.
Il marziano troverebbe un paese governato da un gruppo di neo, ex, post fascisti impegnato a definire in modo bombastico, e grottesco, «reato universale» non il genocidio, la tortura o qualche crimine di guerra, ma addirittura la nascita di un bambino con tecniche di gestazione non naturali, per il solo intento di strizzare l’occhio ai settori più retrivi della società e di mostrarsi come la parte che difende i valori tradizionali e non permette alle coppie omosessuali di affittare uteri in paesi dove è possibile farlo, infischiandosene del fatto che poi a essere infastidite da una legge quasi certamente inapplicabile saranno principalmente le coppie eterosessuali.
Si tratta di «dog whistle politics», la politica del fischietto a ultrasuoni udibile solo dai cani, come dicono negli Stati Uniti quando descrivono i messaggi politici in codice, apparentemente innocui, ma rivolti soltanto a chi ha orecchie per intendere.
Un’arte in cui Donald Trump è maestro, così mobilita nazisti, razzisti e altra brava gente, e noi in questi giorni lo copiamo con quell’altra carnevalata del “modello albanese” sui migranti (li rimandiamo a casa, proprio in Albania da dove tutto partì trenta e rotti anni fa).
Un modello albanese così ben studiato dai cervelli del governo da essere già stato bocciato dai tribunali e dalle leggi europee, e prima ancora dalla decenza, peraltro nello stesso giorno in cui il secondo partito della coalizione di maggioranza, in gita a Palermo, ha inscenato una pagliacciata contro i magistrati locali sul caso degli immigrati che Matteo Salvini, nel 2019, non fece sbarcare in nome di quell’altro richiamo subliminale per razzisti che era «porti chiusi». Un richiamo utilizzato da Salvini ai tempi del governo guidato da Giuseppe Conte, uno che ora si atteggia a Brežnev delle feste strapaesane dell’unità, e a piccolo Vichinsky di Travaglio.
Il marziano a Roma – sempre che una volta atterrato abbia trovato tangenziali libere, ponti non allagati, e treni privi di chiodi piazzati sui binari dal deep state all’amatriciana – vedrebbe un paese, nonostante la presidenza pro tempore del G7, escluso dai tavoli internazionali che contano, come per esempio i vertici atlantici sull’Ucraina, malgrado le sceneggiate su Twitter del ministro Guido Crosetto, suscettibile come un adolescente ogni qual volta qualcuno osa pensare che il governo Meloni sia un’entità impalpabile ritenuta inaffidabile da tutta l’Europa, tranne che dall’Ungheria, e dagli Stati Uniti.
Il marziano a Roma vedrebbe con i suoi occhi un paese dei balocchi della demagogia, una classe dirigente che si informa su Dagospia, un’opposizione guidata da una capetta di assemblea studentesca e per il resto agitata dai pruriti adolescenziali di quelli che in teoria dovrebbero interpretare la parte degli adulti. Il marziano troverebbe i salotti televisivi simili a un sistema fognario che crea e raccoglie, ma non riesce a smaltire, un dibattito pubblico fortemente inquinato da ciarlatani, lestofanti e mangiatori di fuoco.
Il marziano che uscisse indenne dal rapporto con un fisco vessatorio, da una sanità da terzo mondo e da un sistema giudiziario irresponsabile vedrebbe davanti a sé un’Italia sempre più simile a una Silicon Valley del populismo (copyright di Giuliano da Empoli), in implacabile declino demografico e con un sistema pensionistico che non è ancora andato a carte quarantotto soltanto perché è stato salvato anni fa da Elsa Fornero, la quale anziché essere stata incoronata regina d’Italia per meriti epocali è stata invece spernacchiata dagli irresponsabili che oggi siedono al governo e dai quaquaraquà che per fortuna almeno stanno all’opposizione.
Non è un caso che Elon Musk si trovi così a suo agio in Italia, un paese che scambia per un progetto di investimento tecnologico privato la capiente greppia di denaro pubblico che fa gola a tutti, anche a un fantastiliardario come Musk. Così come non è un caso che l’Italia sia il paese più manipolabile dalle influenze russe, un paese capace ancora oggi di organizzare carnevalate rossobrune, un paese fremente di palpitazioni emotive per la fine della carriera terroristica di Yahya Sinwar.
Il povero marziano che arrivasse a Roma, d’altro canto, non desterebbe nessuno scalpore, perché più che come un extraterrestre sarebbe accolto come una delle mille maschere che già popolano l’avanspettacolo italiano. Il marziano non costituirebbe nessuna novità, non stimolerebbe alcuna curiosità, non correrebbe il rischio di annoiare il pubblico. Il marziano si troverebbe bene nell’Italia di questi anni, pretenderebbe il posto fisso in televisione e non tornerebbe malinconicamente nel suo pianeta. Resterebbe qui, dove siamo condannati a restare anche noi talmente anziani da ricordare di quando si riusciva ancora a fare satira «sull’espansione verticale dell’Italia» e ingenuamente si sognava di mandare i fascisti su Marte.