E così alla fine Simone Lenzi – artista, scrittore, musicista, e pure assessore alla cultura del comune di Livorno – è stato costretto a dimettersi dall’incarico. Anche se il punto di partenza di tutta la vicenda è stata una aspra polemica con il Fatto Quotidiano per una striscia del fumettista Natangelo, la ragione vera del siluramento dell’assessore sono stati alcuni post del passato, riesumati per l’occasione e considerati omofobi.
In uno Lenzi metteva in dubbio il valore artistico di una statua (una donna con il pene) esposta alla Biennale di Venezia, e prendeva posizione contro “l’arte didascalica”, che pretende di insegnarci come vivere. In un altro Lenzi faceva dell’autoironia, definendosi gender ironic, in polemica con la ridicola proliferazione delle identità di genere (28, compreso skoliosexual e lithsexual). Di qui una durissima presa di posizione dell’Arcigay, la severa reprimenda del sindaco progressista (?) Luca Salvetti, e infine le dimissioni dell’assessore.
La vicenda è illuminante perché, in un colpo solo, ci mette sotto gli occhi una moltitudine di aberrazioni di cui, troppo sovente, nemmeno ci accorgiamo.
Prima aberrazione: lo strapotere delle lobby LGBT+. Qualche tempo fa Federico Rampini, in una trasmissione tv, scandalizzò la conduttrice Marianna Aprile con l’affermazione: “in America le lobby LGBT sono cattivissime e potentissime”. Ebbene, dobbiamo correggere Rampini: purtroppo vale anche per l’Italia, non solo per gli Stati Uniti.
Seconda aberrazione: l’assessore è stato rimosso per le sue idee, peraltro espresse in chiave ironica e al di fuori del suo ruolo.
Terza aberrazione: la censura è venuta da un esponente della sinistra, che non perde occasione per inneggiare alla libertà di espressione e al diritto al dissenso.
Quarta aberrazione: né Elly Schlein, né la segreteria del Pd, né i maggiori esponenti di quel partito hanno sentito il bisogno di difendere l’assessore.
Quinta aberrazione: anche nel mondo della cultura e del giornalismo sono stati pochissimi a manifestargli solidarietà (fra di loro: la giornalista Concita De Gregorio e il regista Paolo Virzì, che con Lenzi aveva collaborato).
Perché, tutto questo?
Nella sua lettera di addio, l’assessore accenna a una possibile ragione dell’isolamento in cui si è venuto a trovare.
“mi dimetto perché alla sinistra, che avevo visto sin qui come la roccaforte di ogni libertà, la libertà più autentica non interessa affatto. Essendo piuttosto il narcisismo etico l’unica molla ormai capace di muoverne i riflessi condizionati, capisco bene che l’unica cosa importante davvero per tutti voi sia adesso posizionarsi, quanto più in fretta possibile, dalla parte dei giusti e dei buoni”.
La sinistra, insomma, sarebbe affetta da “narcisismo etico”.
Mi permetto di dissentire. Il narcisismo è una forma di ripiegamento su di sé, un auto-innamoramento, un coccolare sé stessi. Non è questo il peggiore male della sinistra di oggi. Fosse solo questo, non farebbe troppi danni. Quando l’assessore dice che la
cosa importante per le persone di sinistra è “posizionarsi dalla parte dei giusti e dei buoni”, quello di cui parla non è un moto interno dell’animo, ma un comportamento esterno: un mostrare agli altri quel che si è, o si pretende di essere. La parola giusta è
esibizionismo, non narcisismo. Il bisogno ossessivo di posizionarsi, sui social come nella realtà offline, è una forma di esibizionismo etico. Una continua pretesa di ostentare la propria superiore moralità.
Il guaio è che, qualche volta, l’esibizione della propria moralità richiede una vittima, un capro espiatorio, un nemico da umiliare, sopraffare, o aggredire. E questo non si chiama narcisismo, né esibizionismo: si chiama bullismo. Il ragazzo che ammira i propri muscoli davanti a uno specchio è un narcisista. Se li mostra alla classe diventa un esibizionista. Ma se li usa per pestare un compagno è un bullo. È il bullismo etico, non il semplice narcisismo, la cifra della vicenda Lenzi. Per apprezzarne tutta la drammaticità e gravità, dobbiamo imparare a usare le parole giuste. Parole precise, esatte. Perché “le parole sono importanti”, per dirla con Nanni Moretti.
[articolo uscito sulla Ragione il 15 ottobre 2024]