(Giovanni Idili) Little Miss Sunshine è un film del 2006 diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris. La sceneggiatura è stata scritta da Michael Arndt. Una sgangherata famiglia, quella degli Hoover, si ritroverà in viaggio su un cadente pulmino verso il concorso di bellezza per bambine più famoso della California, Little Miss Sunshine, per cui la piccola Olive è stata selezionata.
I personaggi del film sono: Sheryl (Toni Collette), moglie e madre per vocazione, alle prese con il secondo matrimonio; Richard (Greg Ginnear), marito/padre alla ricerca ossessiva di un improbabile successo editoriale; Dwayne (Paul Dano), adolescente ribelle che vuol fare il pilota d’aerei; Olive, 6 anni, mini-reginetta di bellezza di provincia; il nonno Edwin (Alan Arkin), cacciato dalla casa di cura perché cocainomane; lo zio Frank (Steve Carell), fratello di Sheryl, reduce da un tentato suicidio.
Il viaggio, a dir poco movimentato, ridefinirà i rapporti, e darà occasione a ciascuno, in modo inatteso e imprevedibile, di riconciliarsi con se stesso prima che con gli altri.
Un’opera deliziosa, frutto di due registi esordienti, un cast di tutto rispetto, una sceneggiatura brillante sostenuta da un concept temerario. Quando usci’ venne accolto positivamente dalla critica ed ebbe un incasso di 100,5 milioni di dollari. Ricevette quattro nomination ai premi Oscar, vincendone due: migliore sceneggiatura originale (Michael Arndt) e miglior attore non protagonista per l’interpretazione di Alan Arkin.
Lo sceneggiatore statunitense Michael Arndt (McLean, 22 novembre 1970) era al suo debutto, dopo questa prima opera scrisse Toy Story 3 – La grande fuga (2010) e Star Wars: Il risveglio della Forza (2015). Quando il 25 febbraio 2007 ricevette l’Oscar racconto’ che quando era bambino la sua famiglia aveva percorso 600 miglia in un furgone VW con la frizione rotta. Quindi, quel viaggio fu una delle cose più divertenti che avevano fatto insieme. Nel film che ha scritto ha riprodotto quella situazione, la frizione si rompe e per partire la famiglia intera ogni volta e’ costretta a spingere il pulmino. I registi, aggiungo, dal canto loro hanno spiegato che avevano usato un pulmino perche’ al contrario di una automobile consentiva varie riprese da varie posizioni. Ora e’ facile capire che lo scrittore Arndt ha raccontato qualcosa che aveva vissuto direttamente mentre i critici invece, che in genere hanno ponderose letture alle spalle, e che non sapevano nulla del vissuto di Arndt, hanno letto il pulmino come una metafora: il pulmino parte, viaggia, se tutti insieme i componenti della famiglia si danno da fare, nessuno escluso. Nel film ogni personaggio ha un suo obiettivo nella vita (come succede a ciascuno di noi): la mamma vuol fare la mamma chioccia per tutti; il padre crede di aver scoperto la formula del successo; il nonno vuol godersi ogni istante della vita; il figlio vuol fare il pilota; la figlia vuol vincere il concorso di bellezza; lo zio, grande esperto di Proust, e’ l’unico che non ha piu’ obiettivi, infatti voleva farla finita. I critici invece in questa situazione (che si evidenzia durante il viaggio) hanno letto il mito di Sisifo. Ricordiamo tutti che come punizione per la sua sfrontata audacia, Zeus decise che Sisifo avrebbe dovuto spingere un masso dalla base alla cima di un monte, ma ogni volta che avesse raggiunto la cima, il masso poi sarebbe rotolato nuovamente alla base del monte per l’eternità. La sua punizione è divenuta una figura retorica per indicare una “fatica inutile”.
Il mito di Sisifo e’ stato interpretato nel corso del tempo in vari modi: e’ stato considerato alla stregua del disco del sole che sorge ogni giorno a est e poi sprofonda verso ovest. Altri studiosi lo considerano una personificazione delle onde che salgono e scendono, o del mare infido. Il filosofo epicureo Lucrezio del I secolo a.C. interpreto’ il mito come la personificazione dei politici che aspirano a un ufficio politico ma ne vengono costantemente sconfitti. La ricerca del potere, di per sé una “cosa vuota”, viene paragonata al rotolare del macigno dalla collina. Lucrezio ritiene infatti che le ambizioni siano pericolose perché allontanano l’uomo dalla saggezza. Friedrich Gottlieb Welcker suggerì l’interpretazione secondo cui il mito di Sisifo simboleggiava la lotta vana dell’uomo nella ricerca della conoscenza, mentre Albert Camus vide in Sisifo la personificazione dell’assurdità della vita umana. Pero’ Camus concluse che “bisogna immaginare Sisifo felice” come se “la lotta stessa verso le vette fosse sufficiente per riempire il cuore di un uomo”.
Chi ha visto il film lo ha considerato (andrea giostra)
“un bellissimo inno all’unità e alla solidarietà familiare. Quando rimaniamo sconfitti, quando i nostri sogni non si possono più realizzare, quando la vita ci costringe a fallimenti che non ci aspettavamo, quando cadiamo perché abbiamo inciampato nelle nostre convinzioni e nelle nostre incapacità, l’unico rifugio che ci può confortare e far riconquistare la fiducia in noi stessi è la famiglia”. Se hai una famiglia unita e solidale, ce la fai sicuramente, e’ questo il messaggio del film?
Il film è brillante, dinamico, divertente, leggero, ben ritmato, costruito all’interno di una sobria cornice proustiana e a tratti nietzschiana. “I momenti che ricordiamo i più belli della nostra vita sono proprio quelli in cui abbiamo sofferto di più” dice ad un certo punto del film Steve Carell (professore universitario esperto in Marcel Proust) per consolare il nipote Paul Dano (accanito lettore e fan di FriedrichWilhelm Nietzsche) che ha visto miseramente infrangersi il suo più grande sogno. E forse anche questa è una dura verità!
Non vado avanti. Volevo soltanto far riflettere come anche un film da Sundance, scritto da un autore esordiente, possa far operare i collegamenti piu’ svariati agli spettatori. E’ proprio vero, cioe’, che dopo la fruizione, ogni libro, film, dipinto, scultura, si stacca dal mondo del suo autore e diventa un’opera di cui ogni fruitore diventa padrone. Quante volte ci hanno detto: ma non hai capito niente! Te lo spiego io cosa voleva dire l’autore…