Quella che io definisco ormai da anni la scuola reale, per differenziarla da quella raccontata e tramandata sui giornali e i siti specializzati, vive e prospera con pratiche e abitudini che io conosco bene perche’ prima da professore e poi da preside ho dovuto farci i conti. Poco tempo fa ho descritto una figura presente in tutte le scuole, il “compilatore dell’orario”. Una figura emblematica che avrebbe interessato nientemeno che il grande filosofo francese Michel Foucalt (1926-1984). Il potere, ha spiegato in tanti libri e conferenze Foucalt, è un insieme di rapporti di forza, diffusi localmente, non riconducibili ad una sola sede; pertanto lui contrappone la propria microfisica del potere, mirante all’analisi delle molteplici e diffuse strategie di soggiogamento, alla macrofisica, propria della teoria di Marx. La scuola, nel mondo, e’ la sede dove i micropoteri e le strategie di soggiogamento trovano terreno fertile. Prendiamo le sezioni “feudi” che conobbi appena misi piede in una scuola come semplice supplente. Erano gli anni settanta eppure dopo svariati decenni la modernita’ ancora non ha spazzato via i feudi. Come si sa il feudo nel mondo medievale consisteva in un beneficio (perlopiù un territorio, ma anche una carica o altro) concesso in godimento da un signore a un suo subalterno contro determinate prestazioni a suggellare un vincolo di fedeltà. Bene, la scuola “medioevale” trasformava le varie sezioni in tanti feudi. Ero supplente e insegnavo “diritto ed economia” in tre sezioni. Dopo pochi giorni compresi che ognuna aveva il suo barone, e che in ciascuna c’erano abitudini diverse, prassi consolidate differenti e anche sistemi di valutazione autonomi. In quegli anni vigeva nelle scuole italiane la formula “ogni consiglio di classe e’ sovrano” (io andavo in giro chiedendo ai colleghi anziani, ma dove c’e’ scritto?) per cui non esistevano “criteri di valutazione comuni della scuola” stabiliti in sede di collegio docenti e applicabili agli scrutini di tutte le classi. La normativa li avrebbe contemplati soltanto nel 1995 (OM n. 80, Tit. IV art. 12.2) : Il Collegio dei Docenti determina i criteri da seguire per lo svolgimento degli scrutini al fine di assicurare omogeneità nelle decisioni di competenza dei singoli Consigli di classe.
Quando io ero supplente ogni classe era un feudo, ed era il barone che stabiliva i criteri condivisi, per cui nella sezione A, per dire, non si bocciava mai nessuno, nella B si bocciava tanto e nella C si bocciava secondo le annate. Diventato preside mi trovai davanti a tanti feudi, per cui avevo la sezione dei sambiasini (docenti ed alunni del quartiere), la sezione dei figli di papa’, quella dei pendolari e cosi’ via. In piu’ avevo un plesso che non era un altro feudo ma una repubblica o una monarchia (non l’ho mai capito) a se’ stante. Dovetti scompaginare tutto (sto parlando di cose che scrissi nel 2014 nel libro La fabbrica dei voti finti) procedendo ad un grande turn over paragonabile ad una ristrutturazione aziendale. Si pensi che la presenza dei feudi, la quale nasceva storicamente per consentire ai genitori di iscrivere i propri figlioli nella sezione preferita e con i compagnucci prescelti (il preside era un semplice notaio di queste volonta’), consentiva ad un docente di insegnare al proprio figlio, allo zio di insegnare al nipote, a marito e moglie di insegnare nella stessa classe. Tutte cose, badate bene, che la normativa non proibiva se non per gli esami, per cui io venni attaccato da destra e da sinistra volendole smantellare. “Perche’ proibisci cio’ che e’ permesso?“. L’accusa di autoritarismo nei miei confronti si basava nel disconoscere il concetto che io peroravo (l’etica non puo’ essere ridotta al diritto puro e semplice). Per mia fortuna i miei interlocutori capirono che nella lotta di potere preside/docente si poteva per una volta far prevalere cio’ che era opportuno senza che essa diventasse un’abitudine. Ho fatto questo esempio per spiegare come nella scuola italiana c’e’ una normativa da seguire che regola alcune situazioni, ma poi ci sono tante altre fattispecie non regolamentate (il diritto non puo’ disciplinare tutto) sulle quali i micropoteri esercitano nel quotidiano la loro azione. Il non regolato viene disciplinato sulla base di semplici abitudini (o prassi). Basti pensare che ancora nel 2024 gli scrutini finali nelle scuole sono disciplinati da una normativa risalente al 1925 (19venticinque). Potete immaginare che in 99 anni non si siano create nelle varie scuole della penisola delle abitudini o prassi che si tramandano da preside a preside, da docente a docente? Queste prassi (il” si e’ sempre fatto cosi'”) non si sa inventate da chi e quando, regolano gli scrutini di ogni scuola, anche adesso che essi si svolgono sulla base di quei “criteri di valutazione comuni” che ho richiamato prima. Insomma, dai feudi dell’eta’ medioevale siamo passati alle usanze dei consigli di classe di oggi. Non sentirete piu’ un docente oggi declamare la massima “il consiglio di classe e’ sovrano” (tradotto in italiano, fa quello che gli pare e piace ) ma rimangono le cd “invenzioni della tradizione” (termine dello storico Hobsbawm), cioe’ abitudini consolidate che rispondono ad un altro enunciato: si e’ sempre fatto cosi’ e nessuno sa bene da quando e perche’.
Insomma, una volta in ogni CdC c’erano marito & moglie, e uno o due baroni che dettavano legge. Agli altri componenti non restava che adeguarsi (il preside era un notaio burocrate, non esprimeva sue volonta’). Oggi invece vivendo nell’epoca dell’amichettismo, il blocco di potere all’interno di ogni CdC e’ dato da amichetti in sintonia. Comparaggi e intese di vecchie comari, comarelle o comaruccie, comprensive di ciarle e pettegolezzi. “I miracoli raccontati da fra Galdino quando va dalle commari alla cerca “(Carducci).
La scuola reale si manifesta, opera, attraverso questi meccanismi e procedure che abbiamo descritto, perche’, come scrisse Hans Scherfig ( La primavera perduta, 1940, oggi edito da Ugo Mursia) “la scuola e’ un mondo a parte. Un piccolo mondo isolato e tagliato a parte, senza collegamenti con il grande mondo circostante. Una societa’ indipendente in mezzo alla citta’.”
Ecco, secondo me la scuola del danese Scherfig e’ invece la scuola raccontata. Esisteva una volta, tanto tempo fa, questo piccolo mondo isolato, ma oggi non esiste piu’, in quanto il grande mondo circostante, la citta’, ha invaso questa societa’ indipendente. Nel 1996 il preside Rosario Drago, un pratico innovatore e un grande studioso, descrisse cosi’ la scuola reale (in Carta della scuola e innovazione, ed Erickson): ” Qualunque cosa faccia un insegnante, non puo’ subire alcuna conseguenza ne’ in bene ne’ in male, ne’ in termini di carriera ne’ di remunerazione. Percio’ non solo e’ irrazionale lavorare di piu’ o evitare di commettere degli errori, perche’ il solo comportamento che appare razionale e’ quello di lavorare sempre meno o meno bene (…) Percio’ il vero problema del nostro sistema educativo sta in un grave deficit di lavoro. Non perche’ vi operino persone inattive o indolenti, ma dal momento che lavorano costantemente in “contro-senso” o “contro-tempo“, gli uni si esauriscono a compiere lavori da Sisifo, gli altri rifiutandosi di sobbarcarsi i doveri piu’ elementari della loro professione”.
PS= La norma che molti dei docenti e dirigenti italiani disconoscono e’ la seguente:
SCRUTINI L’art. 79 del R.D. 653/1925 prescrive: “I voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni ”.
I singoli propongono i voti, il concetto e’ chiaro, ma la norma va interpretata per capire chi li assegna (li delibera il consiglio non il singolo). La interpretazione piu’ accreditata stabilisce che ogni voto, una volta pro-posto il proponente non puo’ cambiarlo piu’. Soltanto il CdC, alla unanimita’ o a maggioranza, puo’ ratificarlo o variarlo. (v. I proprietari del voto, pag. 160, La fabbrica dei voti finti, Armando ed.).