L’eterno equivoco del Pd, e la pavida rinuncia alla sua vocazione maggioritaria

Il solito equivoco del Partito democratico, il solito errore, pensare di fare la sinistra e appaltare a qualcun’altro il compito di pescare voti più legati a un’idea di governo: è la tradizionale divisione dei compiti che ci riporta a venticinque anni fa, allo schema Ds-Margherita.

Walter Veltroni, con altri, aveva capito che era roba vecchia. Si fece il Partito democratico, cioè il tentativo non banale di mettere in campo un partito riformista e di sinistra che parlasse alla maggioranza del popolo italiano ivi compresi i mitici moderati.

Alcuni lo intesero, giustamente, come una rottura con il passato, altri no. Massimo D’Alema per esempio pensava, e forse pensa tuttora, che l’assetto giusto sia: un partito diciamo così erede della parte migliore della tradizione comunista, più forte, alleato con un partito liberaldemocratico, più piccolo.

È lo schema a cui oggi pensa Goffredo Bettini (con la variante di un’intesa strategica con il bel gagà Giuseppe Conte). Ed è infine anche lo schema di Elly Schlein: un bel Pd baricentrato a sinistra – così tra l’altro toglie voti a Conte il Rosso – mentre ai voti moderati ci pensa la “Cosa Riformista”. Giuseppe Sala? Carlo Cottarelli? Marco Bentivogli? Se la sbrighino loro con Luigi Marattin, Carlo Calenda, Matteo Renzi.

Facile, no? Forse troppo facile. Meccanico. Ingenuo. Perché il Pd per salvare sé stesso ha una sola possibilità: provare a fare il Pd, un partito capace di rappresentare il disagio sociale e contemporaneamente di fornire le risposte di governo. Sennò per fare un po’ di casino testimoniale bastano Fratoianni&Bonelli.

Più di loro il Partito democratico ha, o almeno dovrebbe avere, un’arma in più: la vocazione e l’ambizione di governare. Se poi, accanto a un Pd munito di una ritrovata natura di partito di governo, i riformisti riuscissero a dare un senso politico alle proprie ansie, meglio ancora.

Finora, a cinque mesi dalla disfatta del Terzo Polo, c’è da dire che da quell’area non sono giunti segnali straordinari. Marattin sta provando a fare più o meno la stessa cosa di Calenda, cioè un partito riformista fuori dai poli, riprovando esattamente l’operazione fallita del fu Terzo polo. Renzi ha preso atto di quel fallimento e ha scelto di stare nel centrosinistra dove però non è desiderato (per la gioia, intanto, di Marco Bucci e di Giorgia Meloni).

In questa assenza di fatti concreti, Azione in Liguria ha preso l’1,9 per cento, Italia viva non si presenterà nemmeno in Emilia-Romagna. Tutte queste “notizie da nessun luogo”, come il titolo del romanzo utopistico di William Morris, dovrebbero invogliare Elly Schlein ad andare a cercare lei i voti proprio in quell’area.

Ma pare che la leader del Pd, pur di estrazione così diversa, abbia in testa la stessa idea dei vecchi comunisti dell’est europeo che al massimo al loro fianco tolleravano il partito dei contadini, una piccola aggregazione indipendente in soccorso del Partito. Altri tempi. Ma sembra che le cose a sinistra non cambino mai.