La vittoria di Trump, il buio come la pece, e noi

Donald Trump sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti. I conteggi non sono ancora terminati, ma il cosiddetto blue wall, il muro di Stati democratici senza i quali Kamala Harris non ha i numeri sufficienti, è clamorosamente crollato, proprio come successe otto anni fa con Hillary Clinton.

Il successo di Trump è nettissimo, avrà anche la maggioranza al Senato. Harris non è riuscita a tenere viva la coalizione che quattro anni fa ha consentito a Joe Biden di consolidare il blue wall, di vincere anche in territori conservatori e di fermare Trump. Quattro anni e un tentato colpo di stato dopo, gli americani hanno premiato il campione dell’America illiberale e razzista, misogina e autoritaria, preoccupati dall’inflazione post Covid (causata anche da Trump), insomma dal rincaro dei prezzi più che dall’economia che invece vola e ha azzerato la disoccupazione.

Biden e Harris sono stati considerati i responsabili dei rincari, e per questo puniti. La minaccia alla democrazia americana, segnalata non solo dal mondo liberal, ma da mezza prima amministrazione Trump, da numerosi intellettuali conservatori, ex dirigenti del partito repubblicano, e perfino da alcuni generali nominati da Trump, non ha spaventato gli elettori, evidentemente più preoccupati dall’immaginare una donna nera, progressista, e della California alla Casa Bianca.

Joe Biden resta l’unico politico americano capace di sconfiggere Trump, ma per ben due volte gli obamiani lo hanno fatto accomodare di lato, scegliendo qualcun altro: prima preferendogli Hillary, quando Biden era vicepresidente, e l’estate scorsa la sua vice Kamala Harris, dopo una performance tragica del presidente durante il dibattito con Trump. Ancora una volta, una donna non è riuscita a sconfiggere Donald Trump, nemmeno a questo giro con il tema dell’aborto al centro del discorso pubblico.

Vladimir Putin e tutti gli autocrati del pianeta festeggiano, i movimenti radicali di destra e i demagoghi populisti brindano, l’America da questo momento diventa il faro del mondo illiberale, non più la città illuminata sulla collina che guida il mondo libero.

Le conseguenze si cominceranno a vedere subito, prima ancora del 20 gennaio 2025 quando Trump rientrerà alla Casa Bianca. Le sentiremo intanto in Ucraina, che sarà abbandonata al destino che le vuole disegnare l’odioso imperialismo russo. Le sentiremo anche in Italia, con un riallineamento populista e nazionalista del governo Meloni, del resto già da tempo preparatosi all’evenienza, anche per proteggersi dal trumpismo di Matteo Salvini e di Giuseppe Conte.

Ora l’Europa sarà costretta a proteggersi autonomamente, togliendo risorse a sanità, istruzione e stato sociale, oppure dovrà accettare l’espansionismo coloniale russo al suo confine, e forse oltre. I guai, insomma, arrivano adesso, perché come diceva il senatore repubblicano John McCain «fa sempre buio prima di diventare nero come la pece».

Nel 1855, a proposito dei know-nothing, un movimento populista e sovranista all’epoca molto in voga, Abraham Lincoln scrisse in una lettera a Joshua Speed, che se mai le tesi di “quelli che non sanno nulla” fossero prevalse avrebbe preferito «emigrare in un paese dove non si fa alcuna pretesa di amare la libertà — in Russia, per esempio, dove il dispotismo può essere preso puro e senza la vile lega dell’ipocrisia».

Con la vittoria dei know nothing trumpiani nessuno emigrerà in Russia, diventeremo direttamente la Russia.

Hai capito? Credo di no ( feat Eric Clapton)