Sul caso Raimo io la penso esattamente come Guia Soncini la quale ne ha scritto su Linkiesta. Ma quel che ha scritto lo riporto facendone sia un sunto che una parafrasi.
(G. Soncini) Giuseppe Valditara è il ministro dell’istruzione del governo Meloni, ha sospeso per tre mesi dall’insegnamento Christian Raimo, e io sono piuttosto di malumore. In uno sketch di Dave Chapelle del 2016, quando Trump vinse per la prima volta le elezioni, a un certo punto una bianca si domandava cosa ne sarebbe stato dei poveri immigrati senza permesso di soggiorno, e Chappelle rispondeva con una battuta che è la mia linea politica da otto anni: «Resteranno dove sono: te lo vedi Trump che si raccoglie le fragole da solo?».
Ministro Valditara, ora che lei ha sospeso dall’incarico un professore di liceo non perché ha insegnato delle cose sbagliate in classe (magari: magari quella pomposa dicitura ministeriale, «dell’istruzione e del merito», significasse che se uno è una pippa nel suo lavoro va a casa, e se uno è una pippa a studiare lo bocciamo, magari, e invece continuiamo tutti a fare male il nostro dovere senza conseguenze, e a essere giudicati per altro). Raimo era sul palco di una manifestazione di partito. Ha detto che lei, ministro, va «colpito perché è un bersaglio debole», che lei è «il fronte del palco di quel mondo che ci è avverso», e che quel che dice lei, ministro, è «palese, evidente, arrogante, cialtrone, lurido». Ci ha messo pure una citazione di “Guerre stellari”, perché abbiamo questo problema dei cinquantenni che fanno citazioni da tredicenni, ma lo affrontiamo un’altra volta.
Quel che importa, ministro, è che in seguito all’aver detto queste cose Raimo è stato sospeso dal suo ruolo di professore di liceo, e quindi io ora, quando mi dicono «e se licenziano gli insegnanti?», non posso più dire ma cosa vuoi che licenzino, mica vanno a raccogliersi le fragole da soli. Io rischio di dover dire che siete fascisti, questo facile pavlovismo, questa sciatteria lessicale, questo venir meno all’igiene delle parole, igiene delle parole che mi è più cara di quanto a Raimo sia lo stipendio. Ministro, capirà ch’io lo trovi imperdonabile, e non è neanche tutto.
Perché, gentile ministro, questo suo gesto ha acceso riflettori sul problema con la libertà d’espressione che ha questo tempo sbandato. Un tempo in cui, come ho già detto milioni di volte, «libertà d’espressione» significa perlopiù «chi la pensa come me deve potersi esprimere».
E quindi ci tocca assistere a uno spettacolo d’arte varia che copre tutto l’arco parlamentare: da destra si rallegrano della sospensione puntesclamativando «Non un solo centesimo delle mie tasse deve finire nelle tasche di questo signore!»; e da sinistra a indignarsi è Alessandro Zan, che un attimo fa voleva il 41 bis se un ragazzino dava del busone a un compagno di classe, e ora ci spiega che «la scuola dovrebbe essere il luogo dove il pensiero critico si sviluppa, non dove viene punito».
Alla fine è – come tutto, come sempre – questione di soldi (the economy, stupid): non esiste l’indicibile, ma il tariffario della libertà d’espressione. Puoi dire quel che ti pare non se ti collochi dalla parte giusta (la parte giusta cambia), non se sei uno dei nostri (i nostri cambiano), ma se puoi fottertene di quel mezzo stipendio e pagare ogni multa che chi in quel momento controlla i confini del dicibile voglia comminarti.
Ogni tanto discuto con amici del tema «docenti che pensano cose assurde», e la posizione dei miei amici in genere varia a seconda delle convinzioni loro e di quanto combacino con quelle del professore: è inaccettabile che dicano che Israele non deve esistere? Più o meno di quanto lo sia che pensino che le donne non possono avere il cazzo? Da uno a dieci quant’è inaccettabile pensare che i vaccini siano una truffa? E credere nell’oroscopo? Che livello d’inaccettabilità è preferire “Il gattopardo” a “I viceré”? E la nutella alla crema di nocciole bio? Eccetera.
La mia linea, invece, è che un professore deve saper fare il suo lavoro, e infatti l’unico punto che trovo inaccettabile, nell’intervento di Raimo, è quello in cui dice «ci sono, dentro la sua ideologia, tutto il peggio»: «tutto il peggio» regge il verbo al singolare, professore. Mentre i più si preoccupano che Raimo e i suoi colleghi indottrinino i loro allievi con le ideologie sbagliate (cioè: quelle non corrispondenti a quelle dei loro genitori, dei loro ministri, dei loro quartieri), io difendo la convinzione che a scuola si vada per imparare delle nozioni, non a stare al mondo (a insegnarti quello provvederà la vita).
Non temo che il liceale impari che il ministro è la Morte Nera di “Guerre Stellari”: temo che il liceale impari le concordanze sbagliate. Non temo che il liceale ascolti il professore dire che le parole d’un ministro sono luride: temo la licenza media del titolista dell’agenzia che pubblica il video, e che a quel professore virgoletta «Valditara un lurido», giacché a scuola nessuno gli ha insegnato che le virgolette si utilizzano solo in caso di precise parole. Non temo che il liceale esca da scuola ideologizzato: temo che ne esca senza aver imparato le addizioni, i confini dell’Umbria, la storia.
Non ho paura che il liceale non sia politicamente illuminato dall’uno o dall’altro lato: temo che sia di quelli che attraversano gli anni di scuola assorbendo così scarse nozioni da far dire al professore di quel vecchio film, durante lo scrutinio, che sarebbero più adatti a vangare che a studiare. Temo che il liceale che tutti ci siamo preoccupati di tutelare ideologicamente e che nessuno s’è preoccupato uscisse da scuola alfabetizzato finisca fesso, fesso come la bianca attonita che in una sera del novembre 2016 sospira che l’America è un paese razzista, costringendo Dave Chappelle a rispondere «Mio nonno mi aveva detto qualcosa del genere: ma era uno schiavo, che poteva saperne».
La sinistra distratta a fare le raccolte fondi per Raimo con lo stipendio decurtato, e voialtri che intanto chissà cosa combinate: chissà se ne approfittate per instaurare il fascismo, o se vi limitate a dare troppa confidenza a qualche bionda che poi vi sputtana a unghiate i ministeri.