Di tutti gli equivoci che circondano questo governo, quello più pericoloso riguarda la sua politica in materia di giustizia, che molti continuano a confondere con le campagne di Silvio Berlusconi in nome del garantismo e contro la magistratura politicizzata. Nulla di più sbagliato. Non perché Berlusconi fosse un fior di liberale o non avesse a cuore anzitutto i suoi personali interessi, ma perché, al fondo, il suo obiettivo era semplicemente essere lasciato in pace. Se siete tra quanti ritenevano e magari ancora ritengono che fosse un uomo ingiustamente perseguitato dalla giustizia, potrete concluderne che faceva bene; se invece pensate che fosse un criminale, potrete concluderne che faceva male; ma in entrambi i casi, mi auguro, riconoscerete che di questo si trattava, e poco altro. Meloni, al contrario, vuole una magistratura politicizzata, eccome. Semplicemente, vuole che faccia la politica del governo, se necessario anche andando contro le leggi e la Costituzione, come dimostra la violenta campagna contro i giudici che si limitano ad applicare le norme europee. Per questo continuare ad abboccare alla favola della battaglia «garantista» del centrodestra è ormai oltre l’ingenuità e rasenta la dissonanza cognitiva. Non si può essere infatti contemporaneamente garantisti e forcaioli, liberali e illiberali: o si sta con Montesquieu o si sta con Orbán. E la destra italiana ha fatto da tempo la sua scelta.
L’obiettivo del governo non è infatti quello di allontanare la magistratura dalla politica (la primissima separazione delle carriere di cui ci sarebbe bisogno), bensì di guadagnare alla maggioranza di governo anche il potere di controllo e indirizzo dei giudici, secondo il modello della democrazia illiberale ungherese.
Il legame tra riforma istituzionale (premierato), cambiamento della legge elettorale (con larga maggioranza assicurata al vincitore) e riforma della giustizia (con il vincitore delle elezioni che si prende pure il Csm) non potrebbe essere più evidente, ed è esattamente il copione seguito da Viktor Orbán nel suo paese.
Stesso discorso per il tentativo continuo di strumentalizzare qualunque manifestazione per mettere le opposizioni e ogni voce critica contro la polizia, come si sta facendo ora dopo gli scontri di Bologna, e a suo tempo dopo le manganellate agli studenti di Pisa. Stesso discorso per gli inaccettabili attacchi e i chiarissimi tentativi di intimidazione nei confronti di qualunque singolo giudice si permetta di prendere una decisione sgradita all’esecutivo. Stesso discorso per l’esplicito attacco al principio base dell’Unione europea, cioè la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Attacco su cui sarebbe il caso che domani, in audizione, qualcuno chiedesse il parere di Raffaele Fitto (come ho già scritto e volentieri ripeto, sperando che giovi), considerato l’importante ruolo di vicepresidente che dovrebbe andare a ricoprire nella commissione di Ursula von der Leyen.