Il negazionismo della Shoah è un cospirazionismo molto particolare per almeno tre ragioni. Perché si attacca come un parassita ai metodi e agli stili del discorso storiografico, perché s’intreccia a un odio antico e potente, e perché solo un odio così antico e potente potrebbe fornire il carburante per un’impresa intellettualmente demenziale: negare non già un evento (che so, l’allunaggio o la morte di Elvis) ma milioni di microeventi avvalorati da milioni di testimonianze e documenti. Immaginiamo però che Irving, Faurisson o Mattogno non fossero stati “storici” ma giornalisti nella Germania degli anni Trenta. Cos’avrebbero fatto? Non è difficile immaginarlo: sarebbero partiti da un postulato indiscutibile (gli ebrei non possono essere vittime, e se appaiono tali ci dev’essere qualcosa dietro) e per confermarlo si sarebbero dedicati a cercare contraddizioni logiche in tutte le testimonianze, a dubitare sistematicamente di tutti i documenti man mano che emergevano, a immaginare una regia occulta (demoplutogiudaica) dietro la campagna di disinformazione.
Dopo ogni caccia all’ebreo ne sarebbero venuti fuori titoli come: “Quattro schiaffi”; “Definirla pogrom è fuorviante”; “Vittime di violenze di una banda di hooligans facinorosi”; “I media inventano episodi di ‘antisemitismo’”; “Il pogrom che non c’era”; “I media stanno rovesciando completamente la realtà dei fatti”. Ebbene, quelle che ho trascritto sono tutte frasi di giornalisti italiani di testate autorevoli, di scrittori pubblicati da grandi editori, di partiti politici che concorrono alle elezioni. E nessuno di loro che si chieda: se il mio primo impulso davanti alla violenza contro gli ebrei è cercare una fonte che ne metta in dubbio la credibilità, che razza di persona sono diventato?