Esce in questi giorni per i tipi di Rubbettino un documentato e puntuto saggio dal titolo Superbonus, come fallisce una nazione. Lo hanno scritto Luciano Capone e Carlo Stagnaro. Nel suo periodo di applicazione, dal 2021 al 2023, il superbonus al 110 per cento è costato 160 miliardi. Se teniamo conto degli altri incentivi edilizi saliamo alla bellezza di 220 miliardi. All’inizio, davanti al deserto e alla paralisi creati dalla pandemia, era del tutto necessario sostenere in qualche modo l’economia. Ma poi la misura ha drenato risorse cinque volte (!) superiori al previsto. Con un risibile moltiplicatore su crescita e occupazione. E ridottissimi vantaggi sotto il profilo ambientale.
Ne hanno beneficiato circa 400 mila immobili, appena il 4 per cento del totale del patrimonio edilizio italiano, spesso di proprietà di chi i lavori se li poteva permettere. Potevamo spendere quei soldi per l’istruzione e la sanità. Li abbiamo spesi, perdendo la faccia, per rifare un po’ di facciate. Il peso della misura che ha consentito la più grande truffa della Repubblica (parole dell’allora ministro dell’Economia Daniele Franco) non è, come crediamo dopo il blocco imposto dall’attuale governo, alle nostre spalle. Un costoso boccone amaro ormai inghiottito. No, condizionerà la politica economica dei prossimi anni impedendoci di abbassare subito il rapporto tra debito e Prodotto interno lordo, a differenza di quello che è previsto accada in altri Paesi, Grecia compresa.
L’esame di coscienza che manca non riguarda solo i governi di quegli anni (Conte 1 e 2 e Draghi), e le maggioranze che li hanno sostenuti. L’idea malsana è stata dei Cinque Stelle, non ancora pentiti. Ma la verità è che è piaciuta e ha fatto comodo a molti altri. Aziende e sindacati compresi. Una congiunzione bipartisan che dovrebbe consigliare a tutta la classe dirigente, pubblica e privata, una visita dallo psicoanalista. Non si è mai levata, tra gli imprenditori, una voce alta e autorevole che denunciasse il superbonus come la negazione assoluta del fare impresa. Una sorta droga dello stupro della vera imprenditoria. Solo lamentele per le mancate proroghe. «Quando nel 2009 ci si rese conto che la Grecia aveva truccato i conti pubblici – ricordano Capone e Stagnaro – il debito di quel Paese venne corretto al rialzo di circa 30 miliardi di euro (l’11,7% del Pil): in proporzione al reddito nazionale praticamente come i bonus edilizi italiani, in valore assoluto molto meno». Senza fare il processo a nessuno, ne vogliamo parlare?
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(Francesco Cundari) Elly Schlein continua a ripetere in ogni intervista che la destra è stata sconfitta per i tagli alla sanità pubblica. Un tema concreto, allo stesso popolare e di sinistra, concreto e identitario, che la segretaria del Partito democratico ha identificato da subito come la bandiera con cui chiamare a raccolta i propri elettori e andare all’attacco dell’avversario. Una scelta sensata e condivisibile, che si scontra però con due problemi.
Forse sono troppo ottimista, stato d’animo con cui peraltro ho scarsissima familiarità, ma la condizione di estrema debolezza del Movimento 5 stelle e al tempo stesso la sua manifesta inaffidabilità, che è già costata al centrosinistra la Liguria, mi pare aprano lo spazio per un ripensamento, almeno parziale, per una presa di coscienza e un minimo cenno di riconoscimento, se non altro, dell’esistenza del problema. Temo invece che continuare a far finta di niente non consentirà di costruire solide alternative.