Troppa cronaca nera o troppa domanda?

In un articolo (Informazione e criminalità, Il terrore corre sul video) Giandomenico Crapis analizza le tv, compresa quella pubblica, ormai ripiene di narrazioni di cronaca nera.

“È il giornalismo, si dirà. No. Piuttosto è la scorciatoia di un giornalismo indolente e pigro, “che non fa bene il suo mestiere”. Anche perché le statistiche offrono una realtà che non coincide con quella che va in scena sui Tg o sulla “tv del dolore”: non c’è un fenomeno in irresistibile ascesa, men che meno un’emergenza nazionale”.

Per quello che so io, si vede sulle tv nazionali quello che si legge in internet su qualsiasi notiziario locale. Stamane ho aperto il Lametino e dopo la prima notizia (Lamezia, rifiuti abbandonati per strada), la seconda parla di una bimba nata morta in ospedale a Crotone (la malasanità?) e la quarta di poliziotti aggrediti a Catanzaro. Il Corriere della Calabria tra le prime notizie mette “Il terrore sul litorale di Scalea”, e La C news parla del naufragio di Roccella ma in testa si può leggere “Panico a bordo del volo Torino-Lamezia”.

Chiunque veda la tv, legga giornali o notiziari web, è letteralmente inondato di cronaca nera o da notizie paurose o terrorizzanti. Non è una tendenza, un fenomeno o un periodo, il giornalismo per attirare l’utente sceglie tra i fatti quelli più paurosi, così come ogni sito web ad un certo punto tratta il gossip o si occupa di animali.

Quante volte abbiamo nel corso dei decenni letto o sentito le proposte – parlo del meridione- di chi vorrebbe che la stampa informasse sulle azioni buone e non di quelle cattive, di quello che va invece solo di quello che non va o non funziona? Insomma, tutto confluirebbe a monte nella questione che allora si dovrebbe parlare solo dei benefattori e non dei malfattori? Dei politici capaci e non di quelli incapaci?

A fine agosto del 2023 il quotidiano Il Foglio, affermava: «Sappiate che l’immagine dell’Italia che vi viene quotidianamente offerta quando si parla di sicurezza nel nostro paese è diametralmente opposta a quella reale».

«Pensate – concludeva l’articolo – che l’immagine dell’Italia che avete di fronte a voi, sui vostri schermi, è un’immagine distorta, parziale, non reale, che riflette una tentazione a cui i giornali e i telegiornali di mezza Italia non riescono a sottrarsi: trasformare ogni problema in un allarme, trasformare ogni guaio in un’emergenza, trasformare ogni cattiva notizia nel simbolo dello sfascio mortale di un paese». Una ricerca sul web dimostra che se ne parla da tantissimo tempo. Nel 2011 fu il presidente Napolitano ad esclamare: «Troppa nera e giudiziaria su giornali e tv. E anche troppi urli»

Ora, sempre più spesso guardando quanto viene trasmesso in tv o leggendo gli articoli ripieni di particolari, si ha la netta sensazione che, forse, la linea tra informazione e intrattenimento sia sempre più fumosa. La cronaca nera, infatti, ha delle regole precise: lo stabiliscono i codici deontologici degli Ordini dei giornalisti, le leggi e persino, anche se en passant, la Costituzione.

È stata la Cassazione a stabilire che le notizie si possano dare quando corrispondono al vero, quando sono di interesse pubblico e, non da ultimo, quando nell’esposizione dei fatti si rispetta la cosiddetta “continenza”. Bisogna dunque avere un certo senso della misura nella scelta delle parole, nello stile di narrazione e nei contenuti.

Bene, è di questo senso della misura che sembra non esservi più traccia. Anche a uno sguardo poco attento, emerge chiaramente la mercificazione del dolore, che sfrutta la morbosità del voler sapere e il sollievo del potersi dichiarare immediatamente migliori delle persone coinvolte. Dopo gli anni di notizie di pandemia e nel tempo in cui si parla di guerre, attentati e bombe, si tratta di nutrire l’animo più affamato degli appassionati del doomscrolling. Lo chiamano così, infatti, quel perverso tic che sprona a ricercare continuamente notizie negative. Ed è una miniera d’oro per la stampa online e offline, che fanno di un dramma un serbatoio che si autoalimenta attraverso interviste esclusive ai concittadini, fotogrammi di familiari distrutti dal dolore e irrinunciabili video dai luoghi del delitto. Il doomscrolling, o doomsurf, è l’atto di dedicare troppo tempo alla lettura di notizie negative su dispositivi digitali. Come si vede, insomma, è la domanda che crea l’offerta.

Forse sarebbe anche il caso di parlare delle inclinazioni dei cittadini. Lo storico Richard Hofstadter spiegava che qualunque americano abbia vissuto per un po’ in Inghilterra, per esempio, si sarà accorto di quanto quel popolo apprezzi la gentilezza e ripudi la violenza, e avrà fatto il confronto con le inclinazioni dei propri cittadini. Come noto, l’ industria dell’intrattenimento e la narrativa americane sono pervase dalla violenza; è una caratteristica endemica della loro storia. Gli americani la considerano parte del flusso della vita, e perciò mi chiedo, sin da quando nel 1964 tutta la stampa italiana trattò per giorni e giorni il caso dei coniugi Bebawi, definito anche l’omicidio della dolce vita, se noi italiani non abbiamo magari una particolare inclinazione per la cronaca nera. I più grandi giornalisti italiani hanno cominciato infatti il loro apprendistato con la cronaca nera. Vorrei ricordare solo Enzo Biagi il quale fece carriera perchè da giovane dopo ogni omicidio nessuno capiva come fosse in grado di farsi ricevere dalla moglie della vittima e raccoglierne i commenti (lo spiegò bene Eugenio Scalfari).