La Cassazione ha recentemente deciso, senza grande clamore, che non esiste il caporalato intellettuale. Si è pronunciata sulla vicenda della dirigente di una cooperativa sociale di Cefalù, “La Rocca”, che ha chiamato a far lezione gli insegnanti di due istituti paritari nel Palermitano, lo “Scicolone” di Cefalù e l’”Ariosto” di Termini Imerese, tenendoli in una condizione di sfruttamento. La sentenza è sostanzialmente corretta. Infatti, il caporalato prevede la ricerca e l’intermediazione per l’assunzione di lavoratori adibiti a attività manuali e di scarso profilo intellettuale.
Ovviamente, non è il caso di docenti, che hanno alle spalle una formazione, una laurea, e corsi di formazione e abilitazione. Il problema però esiste: e riguarda il sistema delle scuole private e paritarie che, non solo in Sicilia ma in tutto il Sud Italia, si basa su un sistema di sfruttamento dello stato di necessità di giovani docenti che spesso hanno conseguito titoli e abilitazioni con grandi sacrifici – anche economici – da parte loro e delle loro famiglie.
Per quanto riguarda il mondo della scuola, possiamo dire che le modalità di assunzione e di reclutamento dei nuovi docenti sono estremamente complesse, severe. E richiedono ai docenti una preparazione di alto livello. Eppure, accade che a fronte di numerosi candidati, le cattedre a disposizione sono poche.
Così, per un giovane che voglia fare l’insegnante si aprono due strade: o andare al Nord, o diventare una rotella nell’ingranaggio delle scuole private. Chi ha lavorato nei cosiddetti diplomifici e nelle scuole private conosce perfettamente le condizioni per poter lavorare: contributi inesistenti, o versati a proprio carico, un obbligo di promuovere chiunque e comunque, nessun tipo di retribuzione.
È una piaga assai diffusa che vizia l’accesso al mondo del lavoro e costringe ad una forma di sfruttamento molti giovani docenti. Allora, a questo punto, diventa necessario ripensare al linguaggio giuridico e alla fattispecie di reato, perché se è vero che il caporalato riguarda prevalentemente il lavoro manuale, è altrettanto vero che esistono forme di sfruttamento del lavoro intellettuale ugualmente mortificanti.
E non è solo il caso del mondo della scuola: pensiamo allo stato di sfruttamento dei praticanti di molti uffici legali, di commercialisti, giornalisti o di altri professionisti; quindi, a questo punto, bisogna cominciare a ragionare in maniera lucida sulle condizioni di ingresso del mondo del lavoro nelle professioni intellettuali, perché se è importante fare gavetta e avere spirito di sacrificio, è anche fondamentale godere di tutele e del rispetto della propria dignità lavorativa.
Oggi, che senso ha studiare e pensare a un futuro lavorativo se, quando finisce bene, ti viene offerto un rimborso spese mensile di 200 euro all’interno di uno studio professionale? Davvero la dignità di un giovane laureato in Lettere è così scarsa da poter accettare di lavorare gratis? Un giovane insegnante può accettare di chiedere ai propri genitori il denaro per fare benzina e recarsi ad insegnare in una scuola privata dove si troverà dinanzi una classe dei ragazzi che non hanno alcuna voglia di imparare? E per di più con una dirigenza e una amministrazione che li costringono ad accettare dei contratti capestro?
Se ci guardiamo attorno, ci rendiamo conto di conoscere molte persone che si ritrovano in queste situazioni lavorative al limite della legalità. L’emergenza del lavoro non è soltanto quella degli operai e delle morti bianche, ma anche quella di chi vede la propria vita e i propri sogni infrangersi per la disonestà e per lo sfruttamento di pochi. Il lavoro è un diritto, ma qual è, giunti a questo punto, il contenuto di questo diritto?