Stando alle statistiche, il 10% della popolazione ama parlare in pubblico. Per il rimanente 90% degli abitanti del pianeta, invece, l’idea di prendere in mano un microfono davanti a una platea genera sensazioni che vanno dal nervosismo a una vera e propria ansia. Tanto che la glossofobia, cioè la paura di parlare in pubblico, è classificata come un disordine da ansia sociale che si manifesta in una serie di sintomi fisici e psicologici che spaziano dal tremore al fatto di arrossire, dalla tachicardia alla voce che trema, dal giramento di testa alle farfalle nello stomaco. Insomma, tutto il campionario di espressioni di una risposta di attacco o fuga.
Se la maggior parte delle persone tende ad avere una forma leggera di glossofobia, per il 5-10% si tratta invece di manifestazioni severe e invalidanti. E sono soprattutto i più giovani a soffrirne di più, in particolare nella fascia 18-29 anni, mentre il fenomeno perde di intensità una volta superata la soglia dei cinquant’anni. C’è comunque una parziale buona notizia: la glossofobia non discrimina in base al sesso e, anzi, si manifesta ugualmente in uomini e donne, con una tendenza a prediligere, però, gli introversi.
Alla radice dell’ansia
Perché ci sentiamo minacciati dal public speaking? Le principali teorie sul tema identificano quattro ragioni.
La prima ha che fare con la paura stessa della paura. Ovvero, le persone sono preoccupate del fatto che i presenti noteranno la loro ansia e di come la loro ansia impatterà sulla loro capacità di fare una buona impressione sotto i riflettori. Quindi, oltre a preoccuparsi del risultato del proprio speech, le persone si interrogano a priori su che tipo di speaker risulteranno essere agli occhi (e alle orecchie) della platea.
Un altro elemento che favorisce l’ansia da prestazione davanti al pubblico è il fatto di attribuire troppa importanza al proprio discorso. Come se questo avesse il potere di macchiare indelebilmente l’immagine professionale o di far deragliare inesorabilmente la carriera. Questa prospettiva, inoltre, attribuisce alla platea il ruolo di giudice e fa sentire lo speaker sotto una lente di ingrandimento, aumentando il senso di disagio.
La terza ragione per cui, in certi casi, può salire la tensione all’idea di parlare in pubblico è legata alla preparazione: magari manca famigliarità con la tecnologia “di scena”, con il microfono e le slide, oppure ancora ci si trova a presentare davanti ai propri superiori.
La quarta ragione, infine, riguarda le capacità oratorie: rispetto a chi cerca di coltivarle, chi si improvvisa si trova in una posizione di maggiore debolezza che impatta negativamente sulla fiducia in sé. In aggiunta, ad aggravare la nostra paura di parlare in pubblico c’è anche sorta di proiezione relativa a una ridotta capacità di dare attenzione. Negli ultimi vent’anni, infatti, esperti informatici e psicologi hanno calcolato che il tempo medio di concentrazione di una persona è passato da due minuti e mezzo a 45 secondi. Quindi, poiché facciamo esperienza di una ridotta attenzione, la percepiamo inconsciamente come un ostacolo che dovremmo fronteggiare.
Come invertire la rotta
Se ci sentiamo minacciati all’idea di parlare in pubblico, rimettere le cose in prospettiva ci aiuta a superare la paura del public speaking. “Il mio team e io definiamo il public speaking come ogni occasione in cui si parla davanti a una o più persone”, osserva Allison Shapira, una fra i principali esperti di public speaking negli Stati Uniti, ceo e founder di Global Public Speaking, società che aiuta la persone a migliorare l’esposizione in pubblico e autrice del saggio “Speak with impact: how to command the room and influence others” (Parlare per lasciare un segno: come dominare la sala e influenzare gli altri, ndr).
Partendo da questa definizione, è chiaro ogni giorno è pieno di occasioni in cui esprimiamo le nostre opinioni ai nostri interlocutori senza difficoltà. Per passare dalla paura al piacere di parlare in pubblico, l’esperta propone una formula in quattro tappe.
1) Il primo step è privare il fatto di sentirsi nervosi di quell’aurea di eccezionalità che gli attribuiamo e di inquadrare invece l’emozione come un’esperienza comune a tutte le persone. “La sensazione che proviamo significa semplicemente che vogliamo fare un buon lavoro”. Quindi, è un indicatore dell’importanza del talk e non delle difficoltà.
2) Il passo successivo è cambiare l’etichetta del nostro stato: “Invece di dire che siamo nervose, diciamo che siamo eccitate per l’evento che ci aspetta. Il feeling è lo stesso, l’unica differenza è che questa interpretazione lavora per noi, invece che contro di noi”.
3) Chiederci anche perché ci sentiamo eccitate a proposito della possibilità di parlare in pubblico ci aiuta a mettere a fuoco la ragione, lo scopo per cui parleremo e questa è una formidabile fonte di motivazione.
4) Infine, secondo l’esperta, dobbiamo ricordarci che il public speaking è un’abilità e non un talento. “Nessuno nasce esperto di public speaking, ma possiamo allenarci per migliorare”. La pratica, insomma, è l’alleato più sicuro per metterci al riparo dalla nostra stessa paura e iniziare ad appassionarci al public speaking.