Caro Merlo, nella rubrica Pinzillacchere leggo il suo “Duro a morire” riferito alle biografie su Mussolini che sono un’inarrestabile mania. A un certo punto lei va giù duro — “scrittoroni, scrittorelli e scrittorucoli ricicciano l’ossessione del qui ci vuole un uomo solo” — facendo intendere che non tutte (o nessuna) godono della sua stima. E in cauda venenum, consiglia “Il lungo viaggio attraverso il fascismo” di Zangrandi, “La resistenza in convento” di Forcella e i “Redenti” di Mirella Serri. Che ne facciamo di “M” di Scurati o di “Benito” di Giordano Bruno Guerri?Sergio Munno — Riardo (Caserta)
Penso benissimo della cosmogonia di Scurati, del Benito illustrato di Giordano Bruno Guerri, e anche del velocissimo Il capobanda di Aldo Cazzullo. Vorrei però che il Censis per una volta ci sorprendesse spiegandoci perché, nonostante 90 mila soldati americani e 45 mila partigiani siano morti per liberare l’Italia, l’Italia non si è mai liberata di Mussolini che da cento anni ingombra le librerie e ancora oggi appassiona i lettori più della resistenza eroica e della sanguinosa guerra civile che ha sconfitto il fascismo. Nessun altro italiano, neppure Garibaldi e Dante, ispira così tanto. Basta digitare “Mussolini” su “Amazon libri” per smarrirsi in un elenco senza fine, che comincia con la migliore storiografia, su tutti De Felice e Mack Smith, e poi libera una melassa di minori sino alla fuffa rosa-shocking sulla fedeltà di Claretta, le amanti nascoste, la contaminazione ebraica con la Sarfatti, i figli illegittimi, il mito contadino di Rachele. C’è una sola parola che, meglio dell’antifascismo militante, ci può liberare: uffa.
Caro Merlo, a proposito dell’eccesso di biografie di Mussolini lei elogia la “cosmogonia” di Scurati, “Il capobanda” di Cazzullo e “Benito” di Guerri. I primi due si dedicano alla critica del “Mussolini di governo”. Guerri, invece, in un’opera scritta in maniera magistrale, si riaggancia a una memorialistica di successo rivolta all’“uomo Mussolini”. Fu un fiume di scritti che smussarono la ferocia della dittatura, come fecero Montanelli ne “Il buonuomo Mussolini” e altri giornalisti-storici in infinite puntate su riviste ad alta tiratura. Questa produzione “umanizzava” il condottiero capace di sintonizzarsi sulla “lunghezza d’onda dell’uomo comune”, dell’Italiano. Lo sostiene oggi Guerri, ma lo fecero anche molti antifascisti come il grande Gadda: nel Ventennio videro una violazione del buon gusto e del senso estetico piuttosto che un regime liberticida, crudele e razzista. Ad altri veri antifascisti, come Vittorio Foa, che trascorse molti anni in carcere, questa interpretazione andava di traverso. Ma piaceva ai tanti che con il fascismo convissero tranquilli e piace ancora oggi pur non coincidendo granché con la realtà della tirannia.Mirella Serri
Rimane misterioso il successo di ogni ribollita dell’uomo a cavallo, l’uomo nuovo e il maschio virile, l’eros e priapo affacciato al balcone, il dittatore in divisa, il conquistatore delle piazze piene ma agorafobico nelle piazze vuote, il maestro di scuola con una cultura di seconda mano al quale i professoroni giuravano fedeltà, il plebeo romagnolo che aveva inventato il fascismo ma lo pronunziava “fassismo”, il “me ne frego” con il sangue caliente e il perbacco tra le gambe, il Mussolini diavolo, socialista, interventista, capo dei manganellatori, mandante dell’assassinio di Matteotti, duce, mito in fuga travestito da tedesco, il Mussolini fucilato, a testa in giù, il “sacco vuoto” che ciascun italiano, diceva Togliatti, ancora riempie come vuole.